Comuni De.Co.

Arcugnano

Da Vicenza si sale al Santuario della Madonna di Monte Berico e quindi si prosegue lungo la Dorsale di Colli Berici, la strada provinciale che li attraversa secondo lo spartiacque principale. Arcugnano, a soli sei chilometri dalla città, si pone dunque come una delle porte d’accesso all’ameno distretto collinare che la incornicia a mezzogiorno, noto fin dall’antichità per la ricchezza delle sue produzioni, a partire dai vini. Questo ruolo privilegiato trova primo riscontro nel nome del comune, che si fa derivare dal patronimico Arconius, riferibile all’altolocato romano che vantava diritti sul suo territorio. La presenza umana, tuttavia, vi è documentata da tempi molto più antichi, fin dall’età del Bronzo: tracce di insediamenti su palafitte, infatti, sono state trovate attorno al lago di Fimon, l’unico del comprensorio, che risalta nel settore orientale del comune; vicentini ante litteram, che vivevano di caccia, pesca e prodotti spontanei, grazie per l’appunto alla generosità della natura locale. Nel settore opposto del territorio, invece, si trova una testimonianza del periodo medievale, la romanica abbazia di Sant’Agostino, edificata dai monaci che bonificarono la pianura solcata dal Retrone: ricca di affreschi, la chiesa custodisce all’altare maggiore uno splendente polittico, Madonna in trono col Bambino e Santi, che ne lascia intendere la ricchezza. Il segno più caratteristico del territorio è tuttavia rappresentato dalle ville palladiane, – il Cevese ne ha censite ben 16, – a conferma della vantaggiosa combinazione tra bellezza della campagna e vicinanza alla città. La maggiore è villa Salasco, che si affaccia alla Dorsale poco prima dell’abitato di Arcugnano: la maestosa residenza risale al 1770 su disegno del Bertotti Scamozzi, uno dei massimi architetti dell’epoca; le grandi serre sono invece aggiunta ottocentesca di Antonio Caregaro Negrin, altro nome di primissimo piano, che mise mano anche al parco romantico. Non a caso la villa sorge in uno dei punti più panoramici del comune: a est, la pianura tra tra Vicenza e Padova; a ovest, i monti Lessini, il gruppo del Carega e il Pasubio.

 

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Arzignano

Simbolo di Arzignano è la Rocca scaligera che sorveglia l’imbocco della valle del Chiampo, la più occidentale della provincia di Vicenza e Verona. Il maniero si staglia compatto fra mura e torri di scuro basalto, la stessa pietra vulcanica della rupe su cui sorge; nel Seicento fu trasformato in residenza dei vicari della Serenissima. La attornia il borgo fortificato, che ogni anno fa da sfondo a una rievocazione storica dell’assedio che la città subì da parte degli Ungheri nell’anno 1413; inutilmente, grazie all’intercessione di Sant’Agata che ancor oggi risulta assai considerata. Entro la cinta risalta la chiesa della Visitazione, edificio candido e slanciato secondo l’uso neoclassico; al suo interno si scopre uno spettacolare polittico, – Madonna col Bambino e Santi, entro una sontuosa cornice dorata tardogotica, – di un ignoto maestro del Quattrocento. Nel fondovalle è l’abitato con la chiesa arcipretale di Ognissanti, dal vistoso campanile, e l’ottocentesca piazza Libertà, salotto della cittadina; qui s’innalza la colonna del Grifo, animale mitologico, metà drago e metà uccello, simbolo del Comune; sullo sfondo è il palazzo Municipale, che conserva alcune opere di Achille Beltrame, noto come illustratore nella prima metà del Novecento per le copertine della Domenica del Corriere. Nel quartiere Villaggio Giardino risalta infine la chiesa di San Giovanni Battista, di Giovanni Michelucci, uno dei maestri dell’architettura contemporanea italiana. Tutt’intorno è il polo industriale arzignanese, tra i primi nel mondo nel settore della concia delle pelli. Sullo sfondo, la valle del Chiampo con i vigneti del Durello, un bianco d’antica tradizione, che oggi diventa anche quotato spumante, e le dorsali dei Monti Lessini, che introducono a un parco naturale dai singolari paesaggi. A sottolineare la suggestione di questi luoghi è una canzone popolare famosa in tutto il mondo, «Signore delle Cime», composta da Bepi de Marzi per il coro de I Crodaioli, da lui fondato nel 1958.

 

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Asigliano Veneto

Asigliano Veneto è uno dei comuni della Bassa vicentina, posizionato quasi sul confine provinciale a mo’ di punto medio tra Noventa Vicentina e Cologna Veneta; un paese di 950 abitanti, sullo sfondo di una campagna di eccezionale vocazione agricola per la composizione del terreno, fertile e leggero, e l'abbondanza di acque, che sono quelle del Ronego, affluente del Guà.

 

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Bassano del Grappa

 

Attraversata dal fiume Brenta, Bassano del Grappa e' una delle citta' piu' popolate e sviluppate del Veneto. Oltre a un'economia industriale in forte crescita e a una vivace attivita' culturale, Bassano possiede una tradizione gastronomica saporita e gustosa: non si puo' ripartire senza aver assaggiato gli asparagi, il baccala' e la grappa (se possibile direttamente alla distilleria Nardini).
Nella piazza centrale del Monte Vecchio sorgono l'imponente palazzo del Monte di Pieta' e la casa Dal Corno Bonato, la cui facciata era stata affrescata da Jacopo Da Ponte, detto il Bassano (le opere sono ora conservate al Museo Civico); a pochi passi, nella piazza della Liberta', la chiesa neoclassica di San Giovanni, realizzata nel 1300 dall'architetto Giovanni Miazzi. Meravigliosa e' anche la quattrocentesca Loggia del Comune. Tutto l'abitato e' costellato di edifici di splendido gusto, arricchiti di preziosi ornamenti: una passeggiata per le tranquille piazzette, infatti, puo' rivelarsi molto affascinante.
La vera perla di Bassano e' pero' il Ponte di legno, progettato dal Palladio in questo materiale perche' la sua elasticità  fosse in grado di contrastare l'impetuosita' del fiume Brenta. Subì diversi e pesanti danneggiamenti sia a causa del fiume, sia a causa di bombardamenti, ma sempre ristrutturato sulle direttive palladiane. L'ultima ricostruzione risale al secondo dopoguerra per opera degli Alpini.

 

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Bolzano Vicentino

 Il territorio comunale è letteralmente diviso in due dal corso del Tesina, che nasce poco distante, in territorio di Sandrigo, ed è già un fiume bell'e fatto quando sfiora Bolzano Vicentino. Questo apparente miracolo si deve alla straordinaria ricchezza delle risorgive che punteggiano questa fascia di pianura, riportando alla luce le acque meteoriche penetrate nel sottosuolo ghiaioso al piede delle montagne. È questa ricchezza d'acque a favorire l'insediamento umano fin da tempi remoti, anche se per avere i primi riscontri documentali occorre aspettare l'età romana e in particolare il 148 avanti Cristo con l'apertura della Via Postumia, che collega Verona ad Aquileia, sul mare Adriatico. Queste sono le circostanze che inducono a riferire il primo nome attestato, Bauzanum, al possidente romano, tale Bautius, verosimilmente responsabile della prima opera di bonifica e centuriazione delle terre. Dopo il crollo dell'Impero e l'abbandono dei secoli bui è sempre l'acqua a sollecitare la precoce rinascita del territorio, grazie ai monaci del convento vicentino di San Felice, che lo bonificano ponendo anche le basi del suo primo sviluppo industriale, grazie all'energia idraulica, per muovere prima le pale dei mulini e poi i meccanismi delle manifatture. Sono questi i secoli in cui si affermano le colture foraggere e la caseria, che trovano riscontro ancora oggi nell'ameno paesaggio dei prati stabili, disegnati da siepi e alberate, e nella produzione del formaggio da serbo destinato a chiamarsi grana. Il benessere dell'età più vicina, sotto l'egida della Repubblica di Venezia, risalta in modo singolare dalle pagine di un'opera universale, «I Quattro Libri dell'Architettura» di Andrea Palladio, che tramanda l'immagine maestosa della villa commissionata nel 1563 dai Valmarana di Lisiera. Dopo l'Unità d'Italia Bolzano Vicentino s'è dotato della ferrovia, di nuove strade e in tempi recenti persino uno svincolo autostradale, che stanno richiamando molte attività lungo la Postumia, ma fortunatamente basta staccarsene di poco per riscoprire l'antica bellezza delle campagne del Tesina.  

 

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Breganze

 

La terra veneta è segnata come nessun'altra in Italia dalla presenza di ville signorili le quali, assieme alle chiese, costituiscono i tratti essenziali di numerosi centri. Breganze ne è un esempio evidente: da qualsiasi parte la si raggiunga viene preannunciata dalle folte macchie dei parchi che circondano le ville padronali poggiate su bellissimi colli, tra i quali si staglia e svetta l'elegante sagoma del campanile. Più nascoste, ma con una presenza rilevante, una rete di piccoli edifici medioevali, le torri colombare. Il tutto fa di Breganze un ambiente singolare per peculiarità paesaggistiche e architettoniche, oltre che produttive per la rinomanza raggiunta nell'ultimo secolo dai suoi prodotti agricoli e manifatturieri. Breganze è situata tra collina e piano lungo la pedemontana, zona certamente abitata già in epoca romana e percorsa dalla "Pista dei Veneti". I romani diedero alla pianura un'organizzazione territoriale a "centuriazioni", sulle quali si svilupparono centri e percorsi di collegamento. Non si hanno comunque notizie documentarie sul paese fino al 983, quando "in Bragancio" furono donati dei terreni ai monaci benedettini da parte del Vescovo di Vicenza. Probabilmente allora Breganze era uno dei pagus, nuclei di impostazione romana che intorno al 1000 vennero soppiantati dalle pievi cristiane. Secondo il Maccà la pieve originaria del paese era dedicata a S. Martino e "stava per un tiro di saetta dal colle sopra cui esisteva il castello" in un luogo oggi difficilmente definibile. Il XII e il XIII secolo videro Breganze rivestire un ruolo importante per la presenza della famiglia feudataria dei Poncio, che possedevano la zona centrale pedemontana e numerosi centri della media e alta valle dell'Astico. Questa fase si concluse per lo scontro con gli Ezzelini. Nel 1227 Alberico da Romano conquistò e distrusse la rocca di Valeriano conte di Breganze, sul colle di S. Lucia; prima del 1250 i Poncio vennero sconfitti, espropriati dei beni e molto probabilmente uccisi ad opera di Ezzelino III il quale comunque risparmiò Naimerio Poncio, che sposò Cunizza da Romano, sorella del tiranno.
Dal Codice Eceliniano (1250) si possono dedurre le ripartizioni del territorio nella prima metà del XIII secolo: tutte le proprietà citate erano localizzate nella zona collinare, segno che la pianura era ancora disabitata e periodicamente invasa dalle acque dei torrenti. Le colline viceversa costituivano un rifugio più sicuro, fin dai tempi delle scorrerie degli Ungheri (900 - 950): così il nucleo principale del paese stava sul dominante colle di S. Lucia ed era provvisto di chiesa, fortificazioni ed abitazioni. Altri antichi insediamenti stavano probabilmente sui colli di Riva e S. Stefano. E' probabile che, in seguito alla distruzione della rocca sul colle, si sia dato avvio ad un nucleo abitato verso la pianura, nei pressi dell'attuale centro, e che si sia edificata la dimora fortificata del Torrione. Scomparsi gli Ezzelini, i territori passarono sotto il controllo di Vicenza, ma vennero poi contesi tra i Carraresi di Padova e gli Scaligeri di Verona; il paese dovette subire le conseguenze di tali conflitti, fino al saccheggio patito per due volte (1312 e 1314) ad opera dei padovani, che portò alla completa rovina dell'insediamento sul colle, che venne allora abbandonato. Sotto i vincitori Scaligeri, mentre a Marostica si erigevano castello e mura, Breganze comincia a svilupparsi ai piedi dei colli. Nel 1384 il vicentino passa sotto il controllo dei Visconti di Milano, fino alla morte di Gian Galeazzo dopo la quale, nel 1404, i comuni veneti e Breganze aderirono con plebiscito alla Repubblica di Venezia. Si aprì allora un periodo di stabilità e di relativa tranquillità, interrotto però dagli eventi della Guerra di Cambrai, mossa da Papa Giulio II contro Venezia: nel 1509 4.000 cavalieri di Massimiliano d'Asburgo diretti a Padova vennero respinti sugli spalti del torrente Chiavon Bianco dai breganzesi, che evitarono così le rovine già provate da altri centri vicini. Fra il '300 e il '400 i presidi di difesa dell'abitato erano attestati sui due piccoli colli sui quali sorgevano il Torrione e la Tor Bissara. Le numerose torri colombare furono invece edificate solo dopo la metà del '400, in periodo veneziano, ed erano edifici con ruolo di rappresentanza delle grandi famiglie proprietarie, delle quali illustravano l'importanza con la loro mole, la loro dislocazione, le loro insegne. Secondo il Dalle Nogare, che nel suo libro ne localizza e descrive ben 16, esse avevano origini più antiche e compiti difensivi, poi cessati con l'adesione a Venezia; la tesi è difficilmente sostenibile, come nota anche il Rigon nel suo specifico studio. Verso la fine del Duecento, il territorio di Breganze era diviso in quattro zone o colmelli: Fara, Perlena, Castelletto e Riva; essi si trasformarono poi in comuni e, dal 1560, quando Fara divenne autonoma, il territorio si delimitò grossomodo sui confini attuali con tre comuni componenti: Riva, Castelletto e Porciglia, che avevano sede rispettivamente nella chiesetta di S. Stefano, in un locale non definito, e nel capitello della Vegra, luoghi nei quali si convocavano le adunanze dei capifamiglia. Scomparsi i Poncio, i territori andarono alle prime famiglie possidenti, come i Monte, che nel '500 dettero due arcipreti al paese e che abitavano Cà 6 Ostile, proprietari di 667 campi, o come i Pagello, che nei loro 500 campi avevano case, mulini e la superstite colombara affrescata. C'erano poi la potente famiglia dei Bissari, con la loro forte torre cintata, i Mascarello, i Sesso e i vicentini Chiericati. Si bonificarono le pianure, si scavarono le rogge, lungo le quali vennero attivati vari mulini da grano e per botteghe artigiane. Nel 1519 Breganze passò dalla giurisdizione del quartiere S. Stefano di Vicenza alla Podesteria di Marostica. La presenza veneziana dispose ordine nel territorio, disciplinandone l'uso tramite due istituzioni principali: il Magistrato delle Acque e il Magistrato dei Beni Inculti. La chiesa assunse un ruolo di notevole importanza, confermandosi anche perno della vita civile: dopo il Concilio di Trento (1563) essa divenne anche riferimento per la tenuta dei registri anagrafici della popolazione. Chiesa, piazza e campanile si impongono come centro urbanistico del paese; a Breganze la parrocchiale era, già alla fine del '200, la chiesa di S. Maria, che ospitava la tomba dei Pagello. Nel '600, completate le opere di bonifica avviate due secoli prima, lo sfruttamento dei terreni era ormai soddisfacente. Si costruirono complessi rurali (come il Maglio) e residenze signorili di notevole valore architettonico, che conferirono una nuova fisionomia all'abitato. Nuovi proprietari sono i Piovene, i Brogliati, i Monza, i Diedo. In centro tra il '500 e il '600 si eressero una serie di edifici lungo via Pieve, ad opera del Chiericati, dei Carli, dei Brogliati e dei Saccardi. Breganze si afferma in quest'epoca come terra di ottimi vini: Vespajolo, Groppello e Pomello furono magnificati da vari visitatori, assieme all'olio e ai frutti di vario tipo ed in grande abbondanza. Motivi, questi, che fecero da subito Breganze un territorio conteso e una zona generosa per la prebenda:" Breganze dal buon vin, dal ricco prete", scriveva nel 1600 il Dottori. Nel 1697, con la costruzione di un oratorio per disposizione di Giovanni Brogliati, il borgo di Maragnole segnò una prima tappa sulla strada del riscatto da semplice area di sfruttamento agricolo. L'orgogliosaidentità del paese dovrà comunque attendere finoal 1957, dopo lunghe contese, per essere riconosciuta come parrocchia autonoma. Nel 1797, con il Trattato di Campoformio, si dissolse la Repubblica Veneta: Napoleone cedette laregione all'Austria, appartenenza poi confermatadal Congresso di Vienna nel 1815. Si avvia unaprogressiva forte crisi nelle campagne; il patriziato veneto, proprietario della quasi totalità dei terreni, li conduceva in maniera semifeudale, gettando nella miseria la classe contadina. Il 5 agosto 1809 i tre comuni di Riva, Castelletto e Porciglia decisero l'unificazione in un unico comune con il nome di Breganze: le tre teste raffigurate nell'attuale stemma comunale rappresentano appunto le sue tre antiche contrade. L'11 marzo 1838 il vecchio campanile crollò sulla chiesa. La parrocchiale venne riedificata in due anni, mentre l'imponente progetto Diedo per la torre campanaria arriverà a compimento solo dopo 55 anni. Nel 1834 Giacomo Brogliati con testamento lasciò al comune proprietà e rendimento a favore dei poveri ed infermi del paese. Ciò provocò un marcato afflusso di miserabili, attratti dal sussidio in tempi di crisi nera nei campi. Nel 1899 questo lascito venne fuso con il testamento di Gerolamo Contro e fu istituito un ospedale, integrato da un ospizio. Con il 1866 si ebbe il passaggio dal veneto al Regno d'Italia e dal 1871 iniziò il regolare funzionamento dell'anagrafe comunale. Si potenziarono le vie di collegamento: nella seconda metà del secolo venne costruito un ponte sull'Astico, si realizzò il collegamento con Lusiana e l'Altopiano e si rimodellò la salita della Gasparona. La fine dell'800 fu caratterizzata dalla presenza delle forti personalità dei tre fratelli sacerdoti Scotton: Jacopo, Gottardo e l'arciprete Andrea. Difensori strenui del potere temporale del Papa, entrarono in conflitto con il ceto proprietario liberale che governava il paese e che appoggiava apertamente il nuovo Regno d'Italia con Roma capitale. Gli Scotton presero abilmente la parte dei miseri contadini, organizzandoli economicamente e facendone fedelissimi parrocchiani ed elettori oltreché, nei ceti medi, militanti ed amministratori comunali clericali. Si costruì qui un "modello" che, assieme a quello prodotto da Mons. Arena a Sadrigo, fu esemplare dell'azione prodotta dall'enciclica Rerum Novarum. Se, a metà dell'800, l'analfabetismo superava il 50% nella riviera di Marostica, dopo l'unificazione si ebbe un notevole impulso per la pubblica istruzione. Già nel 1879 le scuole locali erano tra le migliori e nel 1882, con la costruzione del nuovo edificio delle elementari, si attuò la prima opera pubblica significativa. In questi anni di forte crisi agraria, rilevante era l'emigrazione, contro la quale operarono fortemente gli Scotton (mentre era assente una qualsiasi azione amministrativa). Il periodo tra i due secoli vide Breganze assumere molti dei tratti moderni, con l'avvio di rilevanti attività manifatturiere (Laverda e Zoppelletto), di cooperative agricole ed economiche. Nei primi anni del secolo, dopo una fase di alternanza tra liberali e clericali, fino alla I guerra mondiale si ebbero una serie di giunte comuni. A conferma della vitalità della presenza cattolica, è da notare nel 1907 la fondazione della congregazione delle Suore Orsoline, ora diffusa nel mondo, ad opera di suor Giovanna Meneghini. La guerra giunse a sfiorare il paese, posto nelle retrovie del fronte attestato nel 1916 - 17 tra il Pasubio, l'Altopiano e il Grappa. Trascorsero poi il periodo fascista, la II guerra mondiale e le lotte di liberazione, vicende accompagnate da segni di "afascismo" da parte di Chiesa e popolazione. Ne pagarono un pesante prezzo 5 giovani di Maragnole, fucilati nel 1944 a Mason dai fascisti per rappresaglia. Vanno anche ricordati i numerosi cittadini che lasciarono la vita nella follia delle due guerre mondiali. Nel dopoguerra il paese venne rilanciato con l'evolversi delle produzioni Laverda, che dopo l'autarchia si affermarono anche sui mercati stranieri. La vita locale rimase tuttavia nello schema di controllo impostato dagli Scotton e vedeva la chiesa di Mons. Prosdocimi e il paternalismo dei Laverda governare di comune accordo con la maggioranza politica centrista i vari aspetti del paese fino alla morte, nel 1970, del longevo arciprete (a Breganze dal 1916) e la cessione delle industrie Laverda alla Fiat nel 1982. Tra gli anni '60 e '80 il paese si espande velocemente verso sud, oltre la Gasparona; la combinazione tra lavoro dipendente e piccola proprietà diffusa ne fa un centro con buon livello di benessere. Nello stesso periodo, purtroppo, alcune rilevanti testimonianze della storia locale degradanoe vanno perdute. (testo di Sergio Carrara) dal sito www.comune.breganze.vi.it

 

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Bressanvido

Bressanvido stende il suo territorio a nord-est di Vicenza, nella pianura punteggiata dalle risorgive che danno origine al fiume Tergola. Per raggiungere il paese dal capoluogo ci si stacca dalla Postumia imboccando la strada del Vicerè, che sale verso Bassano del Grappa legando il proprio nome alla vicenda di questo comune. Il toponimo che si legge sulle mappe di poco antecedenti all'anno Mille è in effetti 'Braydo Sancti Viti', laddove braida è termine longobardo che sta a indicare una distesa extraurbana coltivata a prato e San Vito è il martire taumaturgo oggetto di particolare devozione in ambito benedettino. Tutto ciò riconduce al convento vicentino di San Felice, che nell'Alto Medioevo riceve in proprietà le zone umide del Tergola e le mette a coltura stabilendovi una sede succursale, o per meglio dire una di quelle corti benedettina che agli ambienti monastici affiancano stalle per centinaia di mucche e tutti gli spazi che necessitano di conseguenza. Protagonisti monaci e fittavoli, questa resta la realtà del territorio d Bressanvido fino al 1806, quando la soppressione degli ordini monastici e le confische napoleoniche colpiscono anche la sua corte benedettina, che con la Restaurazione giunge in proprietà a Ranieri d'Asburgo, arciduca d'Austria, primo viceré del Lombardo-Veneto. Così si torna alla strada e al palazzo del Vicerè, segnato sulle carte più recenti, ovvero l'antica corte trasformata in residenza e oggi nota come Villa Mezzalira. In questa vicenda è racchiuso passato e presente di Bressanvido, un comune la cui realtà è ancora oggi improntata dalle colture foraggere, i cosiddetti 'prati stabili' da sfalcio, che formano un bellissimo paesaggio rurale, e dall'allevamento bovino a fine caseario, che proprio a poca distanza dalle antiche proprietà monastiche conta una delle più importanti latterie cooperative della provincia di Vicenza. Una tradizione, questa, che vive ancora di grande partecipazione popolare, specie nell'annuale Festa della Transumanza, che a fine estate saluta, oggi come nei secoli addietro, il ritorno delle mandrie dall'altopiano di Asiago alle stalle di pianura.

 

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Brogliano

Brogliano Il territorio del comune consiste in una stretta fascia che s'allunga dal corso del fiume Agno fino alla dorsale di spartiacque con la valle del Chiampo, disegnata dal monte Faldo (m 807) e dal monte Croce del Bosco (m 851). Il capoluogo si trova a fondovalle e ha nella chiesa romanica di S. Martino, oggi presso il cimitero, il monumento che rimanda alla sua fondazione altomedievale: è un edificio caratteristico per le massicce murature di pietra scura e il campanile inglobato in facciata, con tetto a capriate lignee e resti di affreschi giotteschi, che testimoniano del suo originario rango di pieve. La strada che sale verso i boschi tocca Quargnenta, frazione di una certa rilevanza fin dal Medioevo, quando risultava essere dotata di un castello e di una chiesa di dignità parrocchiale; l'abitato si trova a 483 metri di quota e segna visivamente l'ingresso nella fascia montana del comune, dove permangono attività agricole tradizionali.  

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PRODUTTORI del COMUNE DI BROGLIANO:

DANI LUCIANO via Grigolati 10 Imprenditore agricolo

BRUTTOMESSO DAMIANO via Moenon 11 Imprenditore agricolo

BATTISTIN FRANCO via Terrarossa Imprenditore agricolo

RIGON VALER P. via Cornelia 7 Imprenditore agricolo

CARLOTTO MICHELE via G. Marconi 23 Commerciante

LOCANDA RISTORANTE "PERINELLA"

 

 


Caldogno

Caldogno è comune della prima fascia rurale a nord di Vicenza, con il capoluogo poco discosto dalla statale del Pasubio e due frazioni rurali, Crèsole e Rettorgole. Un tranquillo paese di campagna, se non fosse per la villa che Andrea Palladio costruì nel 1542 per Losco Caldogno, nobile vicentino affermatosi nel commercio della seta: un’opera giovanile, lineare, con vano centrale passante e ambienti laterali, la cui semplicità, viene però stemperata dalla decorazione ad affresco del 1570, per mano del Fasolo e dello Zelotti, con belle scene conviviali d’atmosfera rinascimentale. D’antica bellezza è anche lo scenario naturale del comune che ricade nella cosiddetta fascia delle risorgive, altrimenti dette ‘fontanassi’, affioramenti d’acqua che si verificano nel punto in cui la falda freatica interseca il piano di campagna, ovvero dove le acque dei torrenti montani, penetrate nel sottosuolo ghiaioso dell’alta pianura, incontrano gli strati argillosi di quella bassa e tornano alla luce. Le risorgive hanno la loro prima manifestazione nelle polle (‘boj’ o ‘boje’), dove l’acqua sgorga tumultuosa, poi defluiscono per mezzo di sinuosi ruscelli (‘gàtoli’) fino a raggiungere fossi e rogge, attraverso i quali l’acqua viene convogliata al fiume. L’ambiente formato da questi specchi d’acqua a temperatura costante, 15-16 gradi in ogni momento dell’anno, è molto particolare per via della vegetazione sommersa, che resta lussureggiante anche d’inverno, quando la campagna tutt’intorno è gelata. Tipici abitanti di queste acque sono la trota di torrente e il ghiozzo di fiume, meglio noto come ‘marsone’, con una nota di nostalgia per l’ormai raro gambero di fiume. Un ambiente, quello della risorgiva, prezioso e delicato, che non solo va mantenuto, come hanno fatto per secoli gli abitanti del luogo, ma anche protetto dall’inquinamento e dall’avanzare del cemento.  

 

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Caltrano

Caltrano è comune che stende il suo territorio nella fascia sud-ovest della Pedemontana Vicentina, laddove i primi risalti dell’Altopiano di Asiago si affacciano alla valle dell’Astico. L’abitato nasce infatti in epoca preromana presso un guado sul fiume e deve la sua storica rilevanza a questa collocazione strategica.
Successivamente fu protagonista della cristianizzazione della zona attraverso la chiesa dell’Assunta, “pieve e matrice” di tutte le chiese del versante orientale della valle e dell’altopiano. Sia il capoluogo che le frazioni – Camisino, San Donà, Tezze, Campora e Maglio – conservano numerose corti, caratteristiche unità urbanistiche con diverse abitazioni chiuse attorno a uno spazio comune e un unico portale d’accesso che anticamente consentiva la difesa in caso di pericolo.
La perimetrazione del comune risale al Medioevo, come pure i principali collegamenti con i comuni limitrofi di Cogollo del Cengio, Piovene Rocchette, Chiuppano, Calvene, Asiago e Roana. Il territorio è in larga parte boscato, con estese abetaie e faggete, cui s’alternano zone a pascolo, amministrate collettivamente con l’antico sistema degli “usi civici”.
Nei secoli l’economia locale ha avuto il suo punto di forza nelle attività silvopastorali, ancora oggi di un certo ruolo, con sei malghe in attività e oltre trecento capi di bestiame a pascolo libero. In campo agroalimentare è da segnalare anche una storica azienda conserviera, la Zuccato, fondata nel 1868 e nota soprattutto per la produzione di crauti.

Castegnero

Castegnero è una perla nel territorio dei Colli Berici. Anche le vicende storiche la impreziosiscono. La presenza dell'uomo risale all'epoca preistorica. Rilevanti sono anche dei reperti dell'epoca romana tra cui una pietra dedicata alla dea Fortuna, conservata nella chiesa Parrocchiale di Castegnero. Dopo l'insediamento longobardo, la zona fu bonificata dai monaci benedettini e sorse un ospedale per i monaci e i pellegrini testimoniato in documenti del primo Quattrocento. Il passaggio dagli Scaligeri alla Signoria della Serenissima avvicinò il territorio alle vicende veneziane. In questo periodo Castegnero e Villaganzerla costituivano due Comuni indipendenti che furono aggregati solo nel 1816 con un decreto imperiale. La storia di Villaganzerla è legata ad un ramo dei conti vicentini Maltraversi: i nobili Ganzerra ai quali probabilmente è dovuto il nome della frazione.

Il '900 è caratterizzato dalla vita contadina degli abitanti, ma anche da manifestazioni popolari che hanno caratterizzato la località. Da ricordare in particolare sono la Sagra di San Giuseppe di Villaganzerla intorno al 19 marzo e la Sagra dea Siaresa di Castegnero che tra maggio e giugno esalta il sapore della produzione dei ciliegeti della collina.Per maggiori dettagli sulla storia e sui monumenti del paese segnaliamo il sito della proloco del paese di Castegnero: www.prolococastegnero.it

 

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Castelgomberto

LA STORIA
Le profonde trasformazioni degli ultimi decenni hanno impresso una fisionomia nuova al paese di Castelgomberto, modificando in qualche caso l'impianto urbanistico tessuto nei secoli scorsi, in altri casi occultando le tracce del passato.
Nonostante questi processi, comuni del resto alla maggior parte dei centri grandi e piccoli dell'Italia del Nord, è possibile ancora individuare alcune linee portanti ed elementi non trascurabili dei secoli passati.
Soccorre poi una documentazione scritta e cartografica che, a partire soprattutto dal tardo Medioevo, rende possibile la ricostruzione storica di Castelgomberto qui riportata per cenni essenziali. Recenti scavi archeologici sul colle di S.Stefano e sul monte Castello hanno documentato la presenza di nuclei abitati che risalgono rispettivamente all'età del Bronzo medio-recente (secoli XV-XII a.C.) e alla prima età del Ferro (IX sec. A.C).
In particolare dagli scavi di S. Stefano è emersa parte di un terrapieno sostenuto da muri a secco, sul quale era stata disposta una massicciata costituita da brecciame calcareo del posto. Il terreno così spianato veniva regolarizzato in modo rudimentale con argilla e sopra si innalzavano le capanne.Queste abitazioni erano probabilmente costituite da pareti in legno e travi intonacate con argilla negli interstizi. A copertura, un tetto di paglia e frasche. i focolari erano all'aperto, rifiniti con argilla e sabbia prelevata, con ogni probabilità, dal torrente Agno.
Per quanto concerne l'epoca romana, nei decenni scorsi è stato segnalato, qua e là nella campagna di Castelgomberto,materiale oggi disperso ed è stata ipotizzata una rete viaria cheattraversava questo territorio, mettendo in comunicazione la Valle dell'Agnocon il passo di Priabona a nord e con il valico della Bocca ad est. Recentemente, il ritrovamento di quattro monete romane di epoca imperiale e la venuta alla luce nel 1992 di una splendida stele funeraria romana con iscrizione latina, rinvenuta sotto l'altare della chiesetta di S.Fermo, hanno reso più consistente l'ipotesi di temporanei stanziamenti romani.Nel 1992 è venuta alla luce una splendida stele funeraria romana con iscrizione latina.
L 'interessantissimo reperto epigrafico romano è stato rinvenuto sotto l'altare di S. Fermo, nell'omonima chiesa campestre, e lì si trova attualmente.
E' un'ara dedicata agli Dei Mani, e fu posta a ricordo di una bambina morta in tenera età, figlia di un personaggio di rango elevato: il procuratore imperiale Caio Vaternio Calpurnio Lucreziano che, quasi certamente, ricopriva un ruolo di amministratore pubblico nella Valle dell'Agno ed aveva la sua residenza rurale in questo tratto della campagna a sud di Castelgomberto.
L'epigrafe, tradotta, dice: "Agli Dei Mani. In ricordo di Vaternia Calpurnia Sabina, figlia di Caio, che visse un anno e cinque mesi, il padre Caio Vaternio Calpurnio Lucreziano, procuratore imperiale, dispose che fosse eretta".

Per il periodo alto-medievale ha assunto grande importanza la scoperta di alcune tombe appartenenti a guerrieri longobardi.
Nel dicembre 1986, durante i lavori di scavo per la costruzione di un condominio nella periferia sud di Castelgomberto, un centinaio di metri a ovest dal campo da calcio, sono venuti alla luce materiali in metallo e numerose ossa umane, la cui composizione è stata purtroppo compromessa durante l'asporto della ghiaia.Il materiale, confrontato con reperti sicuramente datati, è da porre in relazione con le fasi di conquista e di insediamento dei Longobardi in buona parte della penisola italiana. Pur nella dispersione e nella frettolosità della raccolta, le armi e gli oggetti trovati, ora depositati nel Museo Civico "G. Zannato" di Montecchio Maggiore, consentono di ipotizzare l'esistenza di una piccola necropoli di soldati longobardi nella pianura alluvionale di Castelgomberto.

Nel periodo centrale del Medioevo (secoli X-XI), quando il fenomeno dell'incastellamento interessò praticamente tutta l'area del Nord Italia, nel territorio di Castelgomberto si costituirono due centri abitati, che facevano riferimento ad altrettanti castelli documentati da fonti scritte e da scavi archeologici: i castelli di Chiuse e di Castelgomberto. Il primo, di cui rimangono resti di poderosa mura e qualche elemento strutturale del monte Castello, è attestato a partire dall'anno 1000.
Il secondo era situato a nord del paese, sul colle di S.Stefano, prospiciente sull'antica Via Villa. Era il periodo delle signorie territoriali: nella nostra zona, oltre ai Trissino si imposero due famiglie che presero il nome delle due località: i Da Chiuse e i Da Castelgomberto.
I due centri abitati ebbero vita autonoma, anche dal punto di vista amministrativo, fino al sec. XIV, il secolo della grande crisi: gradatamente si avviarono alla fusione e dai primi del '400 Castelgomberto assorbì Chiuse in un unico paese. II nucleo urbanistico più antico si sviluppò in corrispondenza della Crosara e di via Villa.Tre chiese racchiudevano allora il centro storico: la chiesa parrocchiale di S.Pietro a sud (ubicata all'interno del cimitero), ad est S. Cecilia, che di lì a poco sarebbe diventata la nuova parrocchiale, e S. Maria Maddalena a nord. Sui colli altre due di origine medievale: S. Stefano e S. Giorgio; in mezzo alla campagna, a sud del paese l'antichissima chiesa di S. Fermo.
L'edificio privato più prestigioso, eretto in forme gotiche intorno alla metà del '400, era la Villa dei Trissino, oggi Palazzo Barbaran. Tra il ' 500 ed il '700 lo sviluppo urbanistico si allargò alla parte settentrionale dell'attuale via Villa, significativamente chiamata nei documenti Villa Nova, nuovo centro abitato. Qui nel 1666 venne completata villa Piovene, oggi villa da Schio. Grande sviluppo ebbe anche via Bocca, mentre sorsero ovunque, nella campagna e nelle contrade, poderosi complessi rurali, alcuni di ottima fattura, appartenenti alle famiglie della vecchia nobiltà cittadina o alle famiglie locali emergenti. Nell'Ottocento ci fu un consistente aumento della popolazione, ma lo sviluppo urbanistico non mutò volto: le mappe napoleoniche ed austriache riproducono sostanzialmente l'immagine dei secoli precedenti: contrade isolate sparse nella campagna, nelle valli e sulle colline, ed un centro borgato costituito da Piazza - Via Villa - Via Bocca. Il grande sviluppo, che occupò gradatamente l'area a sud del centro abitato, ebbe inizio nel secondo dopoguerra. Nella frazione di Valle lo sviluppo interessò maggiormente l'attuale centro; negli anni '50 di questo secolo fu eretta la chiesa di S. Cecilia, che richiama nel titolo e nello stile l'antica parrocchiale di Castelgomberto.

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Rassegna stampa prodotti De.Co. di Castelgomberto

 

Chiampo

La cittadina, capoluogo della valle, è celebre per i suoi marmi, di ben 74 varietà, estratti fin dall’antichità e oggi esportati in ogni parte del mondo. In piazza, una colonna di marmo pentelico svetta a ricordare una delle realizzazioni più straordinarie degli artigiani locali, l’esatta riproduzione del Partenone di Atene commissionata dalla città israeliana di Haifa. Poi c’è il Santuario della Pieve, che nell’alto Medioevo fu punto d’irradiazione del Cristianesimo nella valle: nella chiesa, una Madonna col Bambino, preziosa statua rinascimentale di marmo dipinto; nel parco, una spettacolare Via Crucis, comprendente 42 grandi statue di bronzo di celebri artisti, e la cosiddetta Grotta di Lourdes, esatta riproduzione di quella della località francese, eretta nel 1935 per opera del Beato Claudio Granzotto e divenuta fulcro di un grande movimento mariano; infine, il museo, che abbina elementi di interesse naturalistico a testimonianze legate alla vita del Beato Claudio e alle attività dei Francescani che officiano la Pieve. Allargando lo sguardo, si abbracciano le colline che sono l’altro vanto di Chiampo per via delle ciliegie, della locale varietà Durona, cui sono dedicate varie manifestazioni tra maggio e giugno. Più a monte, si entra nel parco Regionale della Lessinia, territorio dai paesaggi fiabeschi, ma apprezzato anche per i prodotti tipici, – trote, formaggi, lumache, tartufi e marroni, – con sorprendente riscontro di buona cucina.

Rassegna stampa dei prodotti De.Co. di Chiampo

Conco

Rubbio è località che sorge a 1057 metri a qualche distanza dalla strada di collegamento tra Bassano del Grappa e Asiago. Una curiosa vicenda amministrativa ha fatto sì che il territorio della frazione sia stato suddiviso tra due comuni in modo che la chiesa risulti sotto Bassano e il campanile sotto Conco. La qual cosa ha un curioso risvolto l’8 settembre, quando a rendere onore alla Madonna Bambina, sono il vescovo di Padova, che ha giurisdizione sui Sette Comuni, e due sindaci. La ricorrenza ha anche un significato prosaico, legato alla produzione agricola che ha dato a Rubbio notorietà quanto meno tra i vicentini. È difatti il momento del sedano, protagonista di una mostra-mercato che si tiene sotto un tendone a due passi dal sagrato, con tanto di concorso per i più bei cespi infiocchettati di rosso e di stand gastronomico. La circostanza è favorevole per apprezzare la bellezza del luogo, villeggiatura di mezza montagna frequentata da chi ama la tranquillità e i valori autentici. Notevolissimo, il panorama, che spazia dal Monte Grappa, con le Pale di San Martino e il Lagorai sullo sfondo, alla laguna di Venezia, arrivando nei giorni più limpidi fino all’Istria e agli Appennini. Un quadro d’altri tempi, che tuttavia cela tra i boschi una curiosità d’arte contemporanea: le cosiddette Cave di Rubbio, dove il bassanese Toni Zarpellon si è divertito ad animare le vallette dove un tempo s’estraeva la pietra con inquietianti figure dipinte sulla roccia o delineate con rottami metallici.

 

Rassegna stampa dei prodotti De.Co. di Conco 

Cornedo Vicentino

Comune della valle dell’Agno, con il capoluogo tangente alla strada che la risale verso Valdagno, sovrastato dal colle di San Sebastiano e dalla mole del monte Veraldo (m 597). Primo segno dell’antico rango comunale viene dalla chiesa parrocchiale, dalla caratteristica fronte porticata, con diverse statue in fregio; all’interno un bellissimo tabernacolo scolpito con i santi Giovanni Battista e Agostino a metà del Quattrocento dallo scultore locale Niccolò da Cornedo, e una pala d’altare con l’Immacolata Concezione tra i santi Pietro e Gaspare dipinta alla fine dello stesso secolo dal vicentino Giovanni Buonconsiglio. A ricordare il nome della famiglia dominante resta poi villa Trissino, della prima metà del Cinquecento, introdotta da una loggia porticata. Il settore orientale del territorio comunale sale verso il passo di Faedo, che segna il passaggio nella valle del Leogra, con le frazioni rurali di Cereda, Muzzolon e Montepulgo. Il settore orientale, nell’oltrefiume, risale invece le pendici del monte Faldo, con le contrade Caicchioli di Sotto e di Sopra in uno scenario d’intatta bellezza rurale.  

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Cornedo Vicentino

 

PRODUTTORI del COMUNE DI CORNEDO VICENTINO:

COOPERATIVA DI CONSUMO piazza A.Moro 36 Commerciante

AGRITURISMO "GIULIO DE BRACHI" via Savegnago 1

 

 

Costabissara

Costabissara reca nel nome i due fattori principali della propria vicenda: in primo luogo la posizione 'in costa', alle falde dell'ultimo contrafforte dei monti Lessini, che s'innalza a nord-ovest di Vicenza, lungo la strada che sale verso Schio e il Pasubio; in secondo luogo, la ricchissima famiglia dei Bissari, che ha retto le sorti di questo paese dal Medioevo fino alla metà dell'Ottocento. Il blasone della casata risalta ancor oggi sullo stemma comunale: "uno scudo fasciato di rosso e d'argento, accostato da due bisce"; la biscia, che l'araldica innalza a simbolo della riflessione, della prudenza e della perspicacia. Il paese ha origini remote e già una certa rilevanza in età romana per la presenza di diverse cave di materiali da costruzione, donde l'originario toponimo di Costa Fabrica. Importanti sono le testimonianze d'età longobarda: la chiesetta protocristiana di San Zeno, risalente al regno di Teodolinda (VI-VII secolo), ma ancor più la pieve di San Giorgio Martire, sul Monte delle Pignare, ricostruita nel XV secolo e rimaneggiata in seguito. Rappresentativo dei secoli seguenti è il castello Sforza-Colleoni, documentato nel XII secolo, riedificato nel successivo dai Bissari, oggi recante il nome del loro ultimo erede e di chi ne 1859 ne curò la definitiva trasformazione in villa. Tra le dimore nobiliari, sempre legata ai Bissari, è villa San Carlo, preceduta da una loggia neoclassica e circondata da un parco romantico sul quale svetta un cedro del Libano purisecolare. Il territorio è per un quarto di collina, conformata a piccoli altopiani, con vigne e prati che presto lasciano spazio al bosco, habitat per il capriolo; dal capoluogo una strada sale verso la dorsale panoramica punteggiata di trattorie. Uno dei sentieri naturalistici raggiunge invece la chiesetta della Madonne delle Grazie, costruita dopo la Grande Guerra in adempimento di un voto della comunità. Nel piano, sulla strada del Pasubio, presso il ponte sul torrente Orolo, è la frazione di Motta, presso la quale si svolse un'importante battaglia del 1513 tra Spagnoli e Veneziani, nel corso della guerra della Lega di Cambrai.

Castello Sforza - Colleoni

 

Chiesetta di Pieve San Giorgio

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Costabissara

 

Creazzo

Creazzo è un paese che sorge sulle prime ondulazioni a ponente di Vicenza, in una fascia favorevole alla vigna e all’orto. Una vocazione da mettere in probabile relazione con la natura argillosa del suolo, che trova riscontra nel termine latino ‘cretaceum’, donde il nome dell’antico insediamento agricolo.
Al giorno d’oggi, dalla statale Padana Superiore, che segna il confine inferiore del comune, una strada s’avvia verso la collina e raggiunge il capoluogo, Creazzo Alta, attorno al quale si contano diverse ville. La più significativa è villa Fadinelli Suppiei, costruita nella seconda metà del Settecento, probabilmente da Ottavio Bertotti Scamozzi, uno dei migliori prosecutori dell’opera del Palladio.

Dueville

Dueville è comune della cintura settentrionale di Vicenza, dove le acque di numerose risorgive si riuniscono per dar vita al fiume Bacchiglione. L’ambiente meglio conservato allo stato naturale è il cosiddetto Bosco di Dueville, prezioso perché conserva la fisionomia originaria di questa fascia di pianura, molto varia per vegetazione acquatica e ripariale, ma anche per fauna alata, con aironi cenerini e garzette come presenza più appariscente.
Il comune prende nome da due importanti ville della famiglia vicentina dei Da Porto, che amministrava il territorio. La più significativa si trova in frazione Vivaro in un contesto ingentilito da un corso d’acqua: il corpo padronale, con facciata a tempio su alta scalinata, è attribuito ad Andrea Palladio e rientra tra i beni catalogati dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Dueville

Gallio

Alle pendici del Longara e delle Melette, Gallio è attualmente uno dei centri turisticamente più rinomati e conosciuti del comprensorio altopianese; la sua felicissima posizione geografica, di poco spostata a nord-est rispetto al capoluogo Asiago, ne ha favorito il grande sviluppo turistico.
Menzionato fin dagli albori della storia altopianese (di esso si ha notizia assieme ad altri centri, fin dai documenti del X secolo e la sua prima Chiesa viene data come una delle antesignane della presenza religiosa cristiana sull'Altopiano), Gallio è ricordato come borgo operosissima ed industrioso, la cui gente sapeva ben utilizzare le risorse a propria disposizione.
Così sfruttarono adeguatamente l'inusuale (per un altopiano carsico) abbandanza di sorgenti d'acqua per far muovere macine, magli e mulini, soprattutto lungo laCovola e la Valle dei Ronchi, "preludio" alla Val Frenzela, imprevio solco tracciato dall'erosione dell'acqua nella roccia che per i lunghi secoli fu vitale via di comunicazione, di traffici e di scambieconomici e commerciali fra l'Altopiano e la pianura veneta. Ma in molti altri traffici ed attività si impegnarono i gallesi nei secoli della loro storia (dalla concia delle pelli alle coltivazioni di segale e frumento, dalla pastorizia al commericio e alla lavorazione di lane e legnami), verso la metà del XVII secolo il paese venne raso al suolo da un furioso incendio ma ben presto ricostruito, così ricordano gli storici dell'Altopiano.
Subito il dramma della Grande Guerra e pagatone il pesante tributo umano, sociale, economico e morale, la gente di questo centro seppe ricostruire ancora una volta il proprio avvenire con sagacia e fierezza, finchè giunse il boom del turismo e la vocazione al ruolo di stazione turistica a ridisegnare il destino ed il futuro di questa terra.
Così Gallio ha spostato il baricentro della sua economia decisamente sulla bilancia del turismo sia estivo che invernale, forte dell'amena posizione geografica, delle favorevoli condizioni climatico-ambientale di un territorio vasto ed eterogeneo, della disponibilità di località ideali ad ospitare la voglia di sport, di svago e relax del turista.
Un mometo particolare deve essere riservato alla visita al Santuario Mariano della "Madonna del Caravaggio", in località Buso; sorto nei primi decenni del secolo scorso per volontà del frate francescano Frà Battista Casera proprio a ridosso della strozzatura naturale di configurazione tra la Valle dei Ronchi e la Val Frenzela, attualmente la piccola chiesa (sovrastata da un ardimentoso ponte a campata unica che porta alla frazione di Stoccareddo) è stata restaurata e continua ad essere meta di turisti e di fedeli, questi ultimi particolarmente numerosi ed uniti nelle due celebrazioni mariane annuali: il 26 maggio (anniversario dell'apparizione della Madonna del Caravaggio a Pinè) ed il 26 luglio (festa di S.Anna).
Anche nel mondo dello sport, specie ovviamente quella parte di esso legata al ghiaccio ed alla neve, Gallio si presenta con un invidiabile biglietto da visita, fatto di una lunga lista di campioni nelle varie discipline (dall' hockey su ghiaccio al salto con gli sci, dal fondo al pattinaggio di velocità) e di strutture; su tutte il maestoso trampolino in cemento armato K95 eretto negli anni ottanta per ospitare i Campionati Mondiali Juniores di salto e sci nordico (e che sorge fra l'altro nella storica valle dei Trampolini del Pakstall), manifestazione che, dopo la felice riuscita nell'edizione del 1987, è stata ripetuta nel 1996, e l'anello naturale ghiacciato di Busa Fonda (gestito dal Corpo Forestale dello Stato) che ogni anno ospita manifestazioni di pattinaggio di velocità, mondiali speedway su ghiaccio e di auto su ghiaccio a livello nazionale, internazionale emondiale.
Dal 1993 Gallio ha sottoscritto un patto di gemellaggio con Ugine , cittadina francese della Savoia, dove su circa 8000 abitanti più di 300 sono emigranti galliesi provenienti in prevalenza da Stoccareddo; il patto di amicizia prevede che vi sia ogni anno uno scambio, alternativamente in una e nell'altra cittadina, in occasione di una manifestazione popolare.

Dal sito www.comune.gallio.vi.it

 

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Rassegna stampa prodotti De.Co. di Gallio

 

Grumolo delle Abbadesse

Grumolo delle Abbadesse: 3400 anime distribuite nel centro comunale e nelle due due frazioni di Vancimuglio e Sarmego, poco discoste dalla strada Padana Superiore che collega Vicenza a Padova; un paesaggio di campagne di antica bellezza, con specifica vocazione per la risaia e una cospicua eredità in ville palladiane.
Tra queste, villa Godi Piovene, del 1597, interessante perché oltre alla dimora padronale conserva un complesso rurale evidentemente funzionale alla lavorazione e allo stoccaggio del riso, con tanto di mulino ad acqua per la pilatura del cereale.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Grumolo delle Abbadesse

Isola Vicentina

Isola Vicentina è località d’alta pianura, lungo la statale del Pasubio, che dal capoluogo berico sale verso Schio e il Pian delle Fugazze. Il nome deriva dallo spuntone roccioso che in tempi remoti, quando il Leogra e il Timonchio erano liberi di divagare tutt’intorno, doveva apparire per l’appunto come un’isola tra gli acquitrini. Nell’Alto Medioevo sul colle venne edificato un castello che, venute meno le esigenze militare, fu sostituito dal complesso monastico che oggi conosciamo come santuario di Santa Maria del Cengio. Al suo interno è la venerata statua della Madonna, opera quattrocentesca di Girolamo da Vicenza. Suggestivo, il chiostro a pianta quadrata, mentre in cima al colle sorge l’eremo, tutt’ora aperto a ritiri spirituali. Il nome di Isola Vicentina è noto anche per un motivo più prosaico, la Festa dello Spiedo, che a partire dal 1962 si tiene la terza domenica di settembre con eccezionale concorso di folla. Con questo appuntamento di piazza si voleva onorare l’eccezionale tradizione venatoria del paese e in particolare l’uccellagione, praticata in modo estremamente fruttuoso sulla dorsale tra la valle del Leogra e la valle dell’Agno. In origine si preparava polenta e osei; oggi, in ossequio alle nuove leggi, si fa spiedo di fagiano e maiale, ma sempre con la polenta “onta”, ripassata nel grasso di leccarda fino a farla diventare dorata e croccante.

 

Rassegna stampa dei prodotti De.Co. di Isola Vicentina

Laghi

Laghi è comune montano del quadrante nord-occidentale della provincia, al confine con il Trentino. Da Arsiero, capoluogo della Valdastico, si imbocca la strada che supera la strettoia tra il Priaforà e il Cimone accedendo all’appartata valle del Posina. A Castana, pochi chilometri più a monte, si devia risalendo il corso del torrente Zara fino al capoluogo, che sorge a 550 metri di quota, a margine dei due specchi d’acqua che danno nome al comune.
Sullo sfondo della valle risaltano il monte Maio e il Cimone dei Laghi, due vette che sfiorano i 1500 metri. Nel nome delle contrade e delle famiglie che le abitano, come anche nella parlata locale, restano tracce della civiltà dei Cimbri, la popolazione di origine bavarese che nel Medioevo ha colonizzato le montagne tra l’Altopiano di Asiago e i Monti Lessini.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Laghi

Longare

Longare è comune della Riviera Berica, la strada che da Vicenza scende verso Noventa seguendo il margine orientale dei Colli Berici. Superato il capoluogo, si raggiunge la frazione di Lumignano, che innalza l’altissimo campanile sullo sfondo di una rupe calcarea. Questa a un esame ravvicinato rivela il suo remoto passato di barriera corallina, al tempo in cui i colli spuntavano come un arcipelago dal mare che ricopriva la pianura Padana.
Incastonato nella roccia, appena sopra il limite del bosco, si scorge l’eremo medievale di San Cassiano. Tutt’intorno, i cosiddetti ‘covoli’, grotte e cavità tipiche degli ambienti carsici. Nell’aria, le voci degli appassionati di free-climbing, che qui trovano una delle più palestre di roccia più impegnative d’Italia, con oltre 70 vie attrezzate.

 

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Longare

 

Lonigo

Città di 15mila abitanti, Lonigo è il capoluogo storico del settore occidentale dei Colli Berici. È centro commerciale e vinicolo di antica tradizione storicamente legato alla famiglia veneziana dei Pisani, che l’ebbero in amministrazione al tempo della Serenissima.
La loro residenza, palazzo Pisani, eretto nel 1556, si affaccia alla centrale piazza Garibaldi; adibito a sede municipale a metà Ottocento, ha recentemente assunto anche la funzione di Palazzo del Vino, quale punto di riferimento del turismo enologico vicentino.
Su un colle poco distante, spicca invece la cosiddetta Rocca Pisana, villa commissionata nel 1576 a Vincenzo Scamozzi, erede spirituale di Andrea Palladio, che nella scia del maestro realizzò un’architettura a pianta centrale con copertura a cupola, inconfondibile.
L’atmosfera di Lonigo è quella di una città industriosa, sede di una fiera agricola inaugurata nel 1486 – un tempo “dei cavalli”, oggi “della meccanizzazione agricola” – orientata soprattutto al settore vinicolo. Sempre in ambito agroalimentare ha rilievo la zootecnia, tanto in ambito salumiero (Prosciutto Veneto Berico Euganeo Dop) quanto caseario (Provolone Valpadana Dop, Grana Padano Dop).
Motivo di storico orgoglio cittadino è anche l’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria “Strampelli”, impegnato nella valorizzazione di antiche varietà di cereali, dal frumento al mais, ma anche di prodotti tipici d’area vicentina, dal pisello di Lumignano al radicchio rosso di Asigliano.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Lonigo

Lugo di Vicenza

Lugo di Vicenza è comune della Pedemontana che allunga il suo territorio dalla pianura solcata dall’Astico fino ai risalti meridionali dell’Altopiano di Asiago. In frazione Lonedo, sullo sfondo di un delizioso paesaggio collinare, si fronteggiano due ville di Andrea Palladio incluse dall’Unesco nella lista del Patrimonio dell’Umanità, al pari delle altre opere dello stesso architetto a Vicenza e nel Veneto: Villa Godi, risalente al 1537, vanta una diffusa decorazione affrescata e uno scenografico giardino a emiciclo; Villa Piovene, eretta nel 1539, in una sorta di gara tra le due famiglie committenti, è invece introdotta da una scenografica scalinata settecentesca; alle vedute che si godono dalle ville corrispondono gli scorci che dalle colline circostanti le vedono protagoniste in un continuo confronto. Quanto al resto del territorio, dal capoluogo si sale alle frazioni collinari di Marè e Mortisa, nella fascia del castagno, dai 300 ai 700 metri di quota; poi si prosegue superando quota 1000, verso la zona dei pascoli e delle malghe attive nella produzione del formaggio Asiago Dop.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Lugo Vicentino

Lusiana

Lusiana è località di villeggiatura della pedemontana dell’Altopiano di Asiago. Il capoluogo, posto a 752 metri di quota, è il più meridionale tra quelli della Spettabile Reggenza. Il territorio spazia dalle contrade collinari ai 1384 metri del monte Corno, con una varietà d’attività tradizionali ben rappresentate nel museo etnografico del Palazzon, dall’artigianato della paglia alla casearia d’alpeggio.
Questo impegno nella documentazione del proprio passato è ribadito da altri siti didattici sparsi sul territorio: la Valle dei Mulini sul torrente Chiavone, il villaggio preistorico di Monte Corgnon, l’area forestale del Labiolo, il giardino botanico alpino del Monte Corno.

 

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Malo

Malo offre piacevoli e interessanti realtà sia per i maladensi sia per i visitatori. Questa miniguida è offerta a chi desidera conoscere come il centro urbano e il territorio si siano costituiti e modificati nel corso della storia.
Siti primitivi
La zona fu abitata da antiche popolazioni e dai Veneti che vi si insediarono dall'ottavo secolo a.C. sulle alture. Intorno a Monte Oresco, Monte Sisilla, Monte Palazzo e nelle colline prossime, si sono rinvenute tracce delle culture neolitica e dell'età del ferro. Si suppone che questi siti fossero collegati alla pista del paleoveneti, che si snodava a mezzacosta, da Vicenza a Magrè e a Santorso.
Malo romana
Le rilevazioni da satellite confermano l'esistenza di due successive centuriazioni rilevabili nel tracciato di strade e carrarecce sull'andamento a scacchiera di cardini e decumani. Asse della centuriazione era il rettifilo tra Santorso e Vicenza, che nella nostra zona corrisponde al Trozo Maran da San Pietro a Ca' Losca.
Case, Malo, San Tomio, Isola sono situati all'incirca sul cardine ultrato quinto, al margine della centuriazione. La strutturazione agricola romana ha lasciato tracce a nordest di Case, a Molina e a San Tomio dove esiste una zona archeologica sul sito di una "villa" romana; nel campanile di San Bernardino si nota qualche mattone sesquipedale; cassette funerarie romane si rinvennero al Visan; a sud di San Rocco,lungo il cardine citrato primo, affiorano strutture di un casale romano.
Nel primo millennio
Nel 917 era già organizzata la Curtis Màladum, centro amministrativo della cultura longobarda. L'uso del territorio, le disposizioni amministrative e le norme della convivenza di frequente si riferiscono all'editto di Rotari. Nomi di luoghi, di persona e termini della parlata maladense sono di origine longobarda. Per la gente che viveva "more romano", ebbe importanza la Pieve di Santa Maria, detta poi del Castello di Malo. Essa continua l'organizzazione del "pagus" romano del Pedemonte da Castelnovo a Leguzzano. Nel secolo X, per disposizione dell'imperatore Berengario I, i vescovi eressero i castelli di Malo e di San Vittore. Sulla collina e nella pianura i Benedettini avevano costruito casali. Nel 972, nove di essi sono donati dal Vescovo per la riedificazione della Basilica di San Felice, distrutta dagli Ungari.
Il Comune
Nel secolo XI accanto ai casali si sviluppa l'allevamento delle greggi e fiorisce l'arte della lana. Gli Statuti Comunali regolano l'uso dei pascoli. Sorge la chiesa di San Benedetto: nel suo porticale e nella camminata adiacente, accanto al campanile torre, si forma la fiera coscienza civica. Il Comune è retto dal Decano, da Sindaci con varie competenze, e da sei Sapientes (assessori). Altri incaricati controllano l'amministrazione e sono delegati a trattare questioni specifiche. Dal 1507 la sede comunale è trasferita nella Loggia sita in Piazza Vecchia e demolita nel 1900.
La Serenissima Repubblica
Dal 1404 al 1797 Malo fa parte del territorio di San Marco. Venezia conferma la validità degli Statuti Comunali che restano in vigore fino alla soppressione napoleonica. Dal Trecento Malo è sede della Vicarìa: vi si esercita la giustizia in prima istanza per i territori corrispondenti alla Pieve. Nel Quattrocento, per impulso di Cavazzoli, Loschi, Muzan e Da Porto, si sviluppano l'agricoltura, la produzione di vino e frutta, l'allevamento dei bachi da seta e l'artigianato. Sorgono fattorie organizzate, chiese, belle dimore e palazzi. Nei tre secoli successivi si edificano le ville degli architetti palladiani, degli Scamozzi e del Muttoni.
Nell'Otto e Novecento
L'organizzazione comunale di Malo finisce nel 1797. Dopo le dominazioni napoleonica ed austriaca, nel 1866, con l'annessione del Veneto, Malo fa parte del Regno d'Italia. Si trova a ridosso della linea di combattimento durante il primo conflitto mondiale. Nell'Ottocento prospera l'arte della seta con le filande. Queste, con le fornaci, caratterizzano la struttura produttiva del paese anche nella prima metà del secolo successivo. Nella seconda metà del XX secolo Malo si allinea all'avanguardia della produzione postindustriale del Nordest. da www.comune.malo.vi.it

 

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Marano Vicentino

Marano Vicentino è comune dell’alta pianura vicentina, confinante con Schio e poco discosto dalla statale che da Vicenza sale fino al Pian delle Fugazze, tra le Piccole Dolomiti e il Pasubio. Il suo territorio vede la confluenza del torrente Leogra, che discende questa valle, nel Timonchio, che nasce invece dall’altopiano del Tretto e versa le sue acque nel Bacchiglione.
Corsi d’acqua naturali e rogge tracciate dai suoi antichi feudatari hanno fatto di Marano un comune d’antica vocazione agricola, come fanno fede ville e fattorie del suo territorio.

 

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Montecchio Maggiore

Montecchio Maggiore si trova all’imbocco della valle dell’Agno, dove la statale di Recoaro si stacca dalla Padana Superiore. Alzando lo sguardo, il primo segno della nobiltà del luogo: due manieri medievali contrapposti, secondo la leggenda l’uno dei Montecchi e l’altro dei Capuleti, ovvero di Romeo e Giulietta, gli innamorati resi celebri da Shakespeare, ma nati dalla fantasia del vicentino Luigi da Porto, che proprio da queste parti era nato.
Poco distante, attraversando il centro storico, si raggiunge la palladiana villa Cordellina, una delle meraviglie architettoniche della provincia: residenza sontuosa e scenario per un grande ciclo di affreschi di Giambattista Tiepolo, con un bellissimo giardino, oggi teatro di convegni, eventi musicali e banchetti.

 

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Montegalda

Montegalda si trova più o meno a metà strada tra Vicenza e Padova, nella pianura sulla sinistra del Bacchiglione, con i Colli Berici nella pittoresca veduta del tramonto. La rilevanza strategica del luogo risulta evidente fin da lontano, quando si scorge il colle isolato che sovrasta l'abitato e il castello che lo corona.
Due elementi, che si ritrovano anche nel nome del comune: la 'motta', ovvero il rialzo del terreno, e la 'warda', il posto di guardia, secondo un termine d'epoca longobarda. Il Castello, di fondazione romana e ricostruzione medievale, pur mantenendo tutti i suoi attributi guerreschi, – la cinta merlata, le quattro torri angolari e il rivellino d'ingresso con ponte levatoio, – è diventato sotto il segno della Serenissima una dimora signorile impreziosita da uno spettacolare giardino all'italiana.
Rappresentativa di tempi a noi più vicini è invece Villa Fogazzaro Roi Colbachini, circondata da un affascinante parco romantico e collegata a una grande tenuta agricola. La proprietà lega la sua storia alla famiglia dello scrittore vicentino Antonio Fogazzaro, che sul suo sfondo ambientò molte situazioni del romanzo «Piccolo mondo moderno»; in anni recenti le scuderie della villa sono state adibite a Museo Veneto delle Campane (MUVEC), promosso dalla storica fonderia Colbachini, fondata nel 1745.
Nelle immediate vicinanze, su una piccola altura, è la chiesetta di San Marco, tutt'ora sede di una piccola comunità cistercense femminile; della sua origine gotica l'edificio conserva il campanile mentre all'interno custodisce una tela del 1607, Trinità con la Vergine, San Marco e donatori, firmata da Alessandro Maganza, titolare di una celebre bottega vicentina.
Ulteriore vanto di Montegalda è la buona tavola: il Candiago, nei suoi «Itinerari gastronomici vicentini» scrive come già nella prima metà del Novecento fosse paese "noto per le locande in cui si offrono i piatti tradizionali", baccalà e spiedi di uccelli in primis, lodando dettagliatamente i vini del colle al piede del Castello.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Montegalda

Montegaldella

Ai confini con il territorio padovano, in una zona pianeggiante solcata dal fiume Bacchiglione, si estende il comune di Montegaldella, che conta attualmente 1766 abitanti e una superficie di 13,64 Kmq. Le sue vicende appaiono spesso legate alla storia dell'attigua Montegalda. La delicata posizione strategica in cui si trovava, ha fatto del castello di Montegaldella uno dei capisaldi per la difesa del territorio vicentino dalle frequenti incursioni dei padovani.

Monticello Conte Otto

Monticello Conte Otto è comune della pianura a nord di Vicenza, nella cosiddetta ‘fascia delle risorgive’, dove le acque dei torrenti montani, penetrate nel sottosuolo ghiaioso, tornano alla luce formando specchi d’acqua cristallina. L’ambiente che ne risulta è molto particolare, sia per l’esuberanza della vegetazione spontanea, sia per la generosità delle terre coltivate. La straordinaria vocazione agricola di queste campagne è testimoniata dalla presenza di numerose ville, un tempo al centro di grandi proprietà terriere. Da segnalare, in particolare, a Vigardolo, una piccola gemma architettonica: villa Valmarana, del 1542, una delle prime opere di Andrea Palladio, per questo inclusa nella lista dei beni del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Monticello Conte Otto

Montorso Vicentino

Montorso Vicentino è comune del settore occidentale della provincia, disteso all’imbocco della valle del Chiampo nello scenario delle ultime propaggini dei Monti Lessini. Il monumento più significativo del paese spicca nel tratto di campagna pianeggiante: è la villa dello scrittore Luigi da Porto, vissuto a cavallo tra Quattro e Cinquecento, autore della novella che più tardi avrebbe ispirato William Shakespeare nella stesura della tragedia di «Romeo e Giulietta».
La parte più caratteristica dell’abitato si stende però sulle pendici del Colle della Fratta. Al vertice è il pittoresco nucleo composto dal palazzo comunale e dalla parrocchiale di San Biagio, tra migliori esempi del Neoclassico vicentino. Della chiesa più antica, che sorgeva sul colle vicino, resta solo la torre campanaria, che svetta oltre il profilo degli alberi.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Montorso Vicentino

Nanto

 Il profilo orientale dei Colli Berici è sottolineato da una strada, la Riviera, cosiddetta perché segue da nord a sud il rettilineo canale del Bisatto. Nanto è uno dei comuni che si assiepano lungo di essa e il suo territorio è come una fettuccia stesa di traverso, dal Monte Alto, 414 metri di quota, alla pianura, dove corre il confine con Padova. Il capoluogo è alle falde dei colli, tra i quali invece si trova la contrada Monti; lungo la strada è la frazione Ponte di nanto, che si presenta da sola; in pianura è Bosco di Nanto, che conserva il ricordo di remote foreste di querce. È un territorio agricolo a storica vocazione vinicola e olearia, tradizionalmente noto anche per l’abbondante raccolta del tartufo nero. Già in epoca romana, tuttavia, la fortuna di Nanto veniva anche da un’altra risorsa naturale, una pietra di colore tendente al giallo, docile alla lavorazione, utilizzata soprattutto per elementi interni. A consacrare la pietra di Nanto nel Rinascimento è stato Andrea Palladio, che la prediligeva per tutte quelle parti – cornici, architravi, modiglioni, stemmi – chiamate a risaltare sulle candide superfici delle sue architetture. Al giorno d’oggi il quadro più caratteristico del paese è offerto dalla chiesa dell’Annunciata, attorniata da cipressi, nella cornice del più antico ed esteso oliveto dei Colli. Sparse nel territorio sono numerose ville, a testimonianza del vivo interesse suscitato dalle sue fortune agricole. La realtà odierna si rispecchia nella tuttora rilevante attività estrattiva, che ha un riscontro sia artistico, nella manifestazione biennale «Nanto Pietra», che turistico-culturale, con l’apertura al pubblico delle antiche cave per visite ed eventi. Ogni estate, invece, si tiene il premio «Nanto Poesia», che va di pari passo a una manifestazione di piazza, la «Festa del tartufo e dell’olivo dei Colli Berici», dal variegato contorno gastronomico. Il tutto, sotto il segno di vini Doc dei Colli Berici, con diverse aziende associate alla Strada dei Vini Doc dei Colli Berici e una specifica manifestazione in maggio, a Ponte di Nanto.

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Nanto

Nogarole Vicentino

Il comune distende il suo territorio sul versante orientale della prima valle del Chiampo, a ridosso della linea di spartiacque con la valle dell’Agno che corre dal monte Faldo (m 807) al monte Croce del Bosco (m 851). L’abitato sorge a 562 metri di quota e venne aggregandosi nel Medioevo attorno alla chiesa dei Santi Simone e Giuda, all’epoca cappella della Pieve di Santa Maria di Chiampo, ricostruita nel Sei-Settecento. Più antica è invece la chiesa dei Santi Rocco e Sebastiano, eretta nel Quattro-Cinquecento sul monte Castellaro, forse sul luogo dell’antico fortilizio che non ha lasciato altra traccia se non il nome del sito. La strada che da Chiampo sale a Nogarole e prosegue verso Selva di Trissino attraversa una campagna collinare molto suggestiva per alternanza di boschi e coltivi, attraversata dal torrente Restena e dai suoi affluenti, e punteggiata in modo singolare da capitelli votivi. Non mancano gli alberi di noce, che probabilmente sono all’origine del nome Nogarole, dal latino ‘nux’ al dialettale ‘nogara’: fin dall’antichità questi alberi sono stati coltivati per il frutto, da cui traeva un prezioso olio dai molti usi domestici, e per il legno, non plus ultra per i lavori di falegnameria, tant’è che alla nascita di una femmina era usanza piantare un noce che a tempo debito avrebbe fornito il legno per il corredo delle sue nozze. La piazza racchiude un piccolo mondo, con la chiesa, il municipio, il caseificio sociale, l’emporio e poco distante un ristorante noto in tutta la provincia per i suoi spiedi di cacciagione. Una curiosità viene dai nomi di alcune località ed anche da certi cognomi, dal suono tedesco: per esempio, Alvese, frazione alta del Comune, che deriverebbe dal tedesco ‘alp’, pascolo, e ‘wiese’, prato. La spiegazione rimanda al Medioevo, quando l’Alto Vicentino registrò l’immigrazione di montanari bavaresi, i cosiddetti Cimbri, chiamati a colonizzare l’Altopiano di Asiago, mettendo radici anche attorno il monte Faldo, per l’appunto, nella loro successiva avanzata verso le valli dei Monti Lessini.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Nogarole Vicentino

 

PRODUTTORI del COMUNE DI NOGAROLE VICENTINO:

BELLUZZO GIOVANNI via Selva 7 imprenditore agricolo

BELLUZZO GABRIELLA via Zolo 10 Imprenditore agricolo

CHIARELLO SILVANO via Pieri 55 Imprenditore agricolo

DULMIERI RENATO via Ferri 4 imprenditore agricolo

LA PRIMOLA SOCIETA' AGRICOLA via Povoleri 17 Imprenditore agricolo

SINICO ZAIRA via Sinici 53 Imprenditore agricolo

SELLA LEOPOLDO via Sella 2 Imprenditore agricolo

CHIARELLO MAURIZIO via Pieri 50 Imprenditore agricolo

NARDI ANTONIETTA via Selva 31 Imprenditore agricolo

Negro Marcegaaglia via Belluzzi 1 Imprenditore agricolo

Dalla Benetta Federico via Povoleri 9 Imprenditore agricolo

Ristorante "Gabri e Giorgio" via Roma 18

 

Piovene Rocchette

Le caratteristiche geografiche e le risorse naturali del luogo dove sorge Piovene hanno da sempre favorito, unitamente all'agricoltura, lo sviluppo di alcune attività umane che hanno costituito, in alcuni momenti, un fondamentale fattore di crescita economica ed urbana.E' il caso delle cave di pietra (il Lupieri, all''nizio dell'800,ne ricorda cinque, che occupavano parecchie centinaia di persone e fornivano materiale di alta qualità) e del forno per la calce che sorse grazie alla disponibilità di pietra calcarea. La forza motrice dell''acqua dell''Astico, pur lontano dall''abitato, favorì l'insediamento di alcuni mulini e di una cartiera (attiva per tutta la prima metà del '600)e costituì la condizione fondamentale per la scelta di Alessandro Rossi di costruire a Piovene,nel 1868,gli stabilimenti industriali per la produzione di filati. L'800 vide inoltre l'affermarsi di alcune attività produttive che sfruttavano l'abbondanza e le ottime qualità organolettiche dell'acqua della zona, come il pastificio e le birrerie.
Pastificio Summano
Il Pastificio Summano, sorto su iniziativa della ditta Barattoni, originaria di Bologna, venne a costituire tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, una straordinaria emergenza nel contesto del paesaggio agricolo, oggi urbanizzato, segnalandosi con la bella ciminiera in cotto (quella visibile oggi non è l'originale ) e la grandiosa facciata in via S.Eurosia. Cessò l'attività nel 1979.
Birreria Zanella - Farinon, (ora Summano)
Sorta nel 1873 era destinata alla fabbricazione della birra uso Baviera. Nel 1881ottenne dal re Umberto I l'insegna reale e si aggiudicò la medaglia d''ro all''sposizione universale di Torino nel 1884. Bombardata nel 1916, venne successivamente ricostruita in due corpi di fabbrica, uno destinato alla produzione (cessata nel 1958) e uno destinato alla consumazione.
Case per gli Impiegato del Lanificio Rossi
Sono le abitazioni sopravvissute alla demolizione del più importante nucleo di case riservate agli impiegati e per questo ubicate, secondo criteri gerarchici, in posizione più elevata rispetto al quartiere operaio.Furono costruite dall'arch.Caregaro Negrin,dal 1869 al 1871. Lo stesso aveva realizzato anche il grandioso complesso della villa di Gaetano Rossi e del suo parco, anch''ssi demoliti nel 1973 in occasione dell'ampliamento della filatura pettinata.
Quartiere Operaio
Il Q.re Operaio è costituito da lunghe file di case a schiera, realizzate tra il 1883 e il 1886 dalla Società anonima Cooperative, formata dal personale degli stabilimenti di Piovene Rocchette. Le abitazioni sono articolate in un piano giorno con servizio igienico ed un piano notte.
Gli Stabilimenti Rossi nn. 1 e 2
Nel 1869 venne costruito sulla riva destra dell'Astico lo stabilimento e la filatura di lana pettinata ai quali fecero seguito, nel 1871,lo stabilimento per la tessitura pettinata di Rocchette 2 (sulla sponda opposta, oggi in disuso) e nel 1886 Rocchette3 ,oggi sostituito con impianti moderni.L'edificio più antico, il n.1.progettato dall'Ing.Ernesto Stamm di Mulhouse, prevedeva l'installazione di 12000 fusi ed era la più grande filatura europea. Richiese enormi lavori di spianamento e riempimento.

Centro Storico


Piazza Forziana

Sorge in prossimità di uno dei più antichi insediamenti paleoveneti della zona. Scavi eseguiti nel 1909 portarono alla luce resti di abitazioni e oggetti vari risalenti all'età del bronzo e del ferro.


Villa Piovene-Borriero

E' detta anche "MUNICIPIO VECCHIO". Sorge in corrispondenza di uno dei castelli medievali di cui resta traccia nella toponomastica. Del complesso trecentesco rimane solo una parte recentemente ristrutturata.

 

Lapide romana di Piazza Papiria
Questa lapide sepolcrale che Papiria Massima dedica alla madre Letilia, testimonia la presenza della famiglia Papiria proveniente dall'Africa e stabilitasi a Roma già dal IV° secolo a.c.. E' stata rinvenuta durante gli scavi della nuova torre campanaria nel 1816.

Chiesa parrocchiale di S. Stefano
Secondo il Maccà si trova memoria di questa chiesa già dal 1262. Contiene le reliquie del Beato Forziano di Strasburgo. La chiesa venne demolita, ricostruita nella forma attuale e consacrata nel 1746. All''nterno dipinti attribuiti a G.B. Maganza, al Maffei e al Balante di Thiene.

Oratorio dei Santi Vito, Modesto e Crescenzia (ora detto di S. Rita)
Sulle fondamenta di un antichissimo sacello distrutto dall'inondazione del 1244, Niccolò Piovene ricostruì l'oratorio dedicato ai S.S. Vito, Modesto e Crescenzia nel XV sec. Le visite pastorali del XVII sec. lo ricordano come proprietà della famiglia Verlato


Casa Verlato

L'edificio, che risale al XVI secolo, fu fatto costruire dalla nobile famiglia Verlato e riprende la tipologia delle ville rurali venete del rinascimento. La sua facciata è infatti caratterizzata dall'ampio portico che serviva per mettere al riparo i prodotti della terra. I sei archi a tutto sesto sono sostenuti da semplici colonne tuscaniche in pietra.


Palazzino Fraccaroli

L'edificio fu fatto costruire dal Sig. Fraccaroli e dalla moglie Lucia Verlato, all'arch. Antonio Caregaro Negrin in torno alla metà dell''ottocento e non venne mai ultimato. La fantasia popolare lo ha battezzato "Castello degli Spiriti".

 
   

Oratorio di San Valentino
L'edificio risale probabilmente alla fine del XVIII sec. L'oratorio viene citato in un manoscritto dell''rchivio parrocchiale del 1807 dove viene menzionato come proprietà dei conti Thiene.

Dal sito www.comune.piovene-rocchette.vi.it

 

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Piovene Rocchette

 

Posina

Lo spigolo nord-ovest della provincia di Vicenza è occupato dalla valle dell’Astico, che ha in Arsiero il suo capoluogo. Qui si stacca la strada che imbocca la valle del torrente Posina: due monti, il Priaforà e il Cimone, formano una gola, la stretta degli Stancari, che si supera in galleria; all’uscita è un nuovo paesaggio che sembra essere fuori dal tempo. La strada con qualche tornante si porta presso il torrente e poi prosegue fino al centro abitato di Castana, dove si presenta un bivio: a sinistra prosegue la valle principale, che costituisce il comune di Posina; a destra si apre quella del torrente Zara, che comprende il territorio del comune di Laghi; a dividerle è la mole dolomitica del Monte Maio (m 1500).
È un quadro in cui domina il verde e dove l’acqua è protagonista. L’acqua dei torrenti, così ricchi di trote da essere un’attrazione sportiva e aver dato rinomanza ai ristoranti della zona, ma anche l’acqua che affiora mineralizzata dalla viva roccia per esser messa in bottiglia e portare il nome delle Fonti di Posina in giro per il mondo.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Posina

Recoaro Terme

“Recoaro, come paesaggio, è una delle mie più belle esperienze, e questa bellezza io l’ho inseguita prodigandovi zelo e fatica”, così scrisse Friedrich Nietzsche nel 1881, lo stesso anno in cui scrisse il suo libro più celebre, «Così parlò Zarathustra».
La cittadina occupa la testata della valle dell’Agno, sullo spigolo nord-occidentale della provincia, in uno scenario che spazia dal fondovalle, tanto verde e rigoglioso da meritarsi l’appellativo di ‘conca di Smeraldo’, a una corona di montagne spettacolari, le Piccole Dolomiti, come gli alpinisti le hanno battezzate con affettuoso rispetto; è di fondazione antica e fa da ponte tra due zone d’ascendenza tedesca, l’Altopiano d’Asiago e la Lessinia. La fisionomia, invece, è quella della città termale fiorita tra Otto e Novecento, con un cammeo d’architettura moderna nella parrocchiale di Sant’Antonio Abate.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Recoaro Terme

Rotzo

Il versante occidentale dell’altopiano di Asiago è segnato da un profondo intaglio, la val d’Assa, chiusa da rupi verticali e ammantata da boschi che nascondono alla vista l’unico corso d’acqua rilevante che scende dalle alture sovrastanti.
Sul ripiano che separa il ciglio settentrionale di questo canalone selvaggio dalla dorsale della Cima di Campolongo si stende una zona di verdi ondulazioni, un piccolo delizioso altopiano nell’altopiano, compreso tra gli 800 e i 1000 metri di quota. Lo attraversa la strada del Piovan, che stringe attorno a sé le poche contrade e poi scende in vertiginosi tornanti verso la Val d’Astico. Un campanile guida lo sguardo verso il centro comunale, Rotzo, che nel nome riassume origine e collocazione geografica: ‘roccia, rupe, scoglio’, questo significa il termine rotz nella parlata dei Cimbri, la gente di origine bavarese, boscaioli, allevatori e contadini, che intorno al Mille fu chiamata dai vescovi vicentini a colonizzare l’altopiano.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Rotzo

Sandrigo

Il nome del Comune e' di derivazione romana con probabili radici dal termine "Fundus Cintericus", cioè il fondo rurale di Cinterio, contadino romano. Il toponimo sarebbe mutato poi in Senterìco, Senderìco, Sendrigo fino ad arrivare all'attuale dizione. Il nome della città compare già come quello odierno su un documento datato 1080 relativo ad antichi diritti monastici, e tuttora giacente nell'archivio della Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli.

Il ritrovamento di un'iscrizione funeraria degli inizi del II secolo d.C., dimostra quanto antichi fossero i primi insediamenti nella zona, mentre la scoperta del sarcofago di marmo greco di una giovinetta, risalente al IV - V secolo d.C., testimonia le remote origini di una comunità cristiana.

Dopo la caduta dell'Impero Romano, anche Sandrigo subì le incursioni e le invasioni dei popoli barbari; durante una campagna di scavi archeologici del 1920 sono stati portati alla luce resti di una necropoli Longobarda.

Le notizie storiche sulla località sono quasi sempre legate a guerre, invasioni e distruzioni. La cronaca racconta che nel 1209 Ezzelino il Monaco sconfisse le truppe vicentine guidate da Rizzardo di San Bonifacio e dal Marchese d'Este, e che la soldataglia si abbandonò al saccheggio del paese, compiendo stragi e violenze senza risparmiare i luoghi sacri.

Nell'Archivio storico del Municipio abbondano i documenti di epoca veneziana.

Pur mantenendo le radici della società agricola, oggi il Comune e' proiettato nel pieno sviluppo industriale, un'ampia zona industriale - artigianale e' sorta nella parte nord-ovest del territorio comunale, a lato della riva sinistra del torrente Astico. Moltissime aziende manifatturiere, chimiche e laboratori artigianali hanno trovato allocazione e lavorano a pieno ritmo, impiegando anche molta manodopera extracomunitaria. Il Comune e' divenuto centro di riscoperta di tradizioni culinarie tipiche del vicentino, come per esempio la preparazione del famoso baccalà alla vicentina da parte di vari ristoranti e trattorie del luogo. La valorizzazione di tale tradizione ha portato all'insediamento a Sandrigo della "Confraternita del Baccalà", al gemellaggio e scambi culturali con l'isola norvegese di Røst, famoso centro di pesca dello Stoccafisso sul Mare del Nord, e l'instaurazione di una manifestazione annuale denominata "Sagra del Baccalà", attrazione turistico-culinaria alla quale partecipa sempre una delegazione norvegese. E' inoltre sempre attivo il mercato del Venerdì, momento di incontro e di aggregazione per la comunità sandricense. www.comune.sandrigo.vi.it

 

Rassegna stampa dei prodotti De.Co. di Sandrigo

San Pietro Mussolino

Nella verde valle formata dal fiume Chiampo sorge il paese di San Pietro Mussolino. Il territorio comunale è prevalentemente collinare e montano. Lo compongono quattro agglomerati: La Fabbrica, Mussolino, San Pietro Nuovo e San Pietro Vecchio, un tempo lontani tra loro ed ora quasi congiunti per il sorgere di nuove abitazioni e fabbricati ad uso artigianale.
Per gli amanti di tale disciplina è presente una Pista da Trial autorizzata ed omologata dalla Federazione Motociclistica Italiana
regevoli attrazioni da scoprire sono: la Contrà Dugatti, in località la Fabbrica. La sua struttura originaria risale al sec. XVII; di questa sussistono ancora la barchessa sul lato nord del cortile interno, collegata alla casa dominicale tramite un'arcata esterna, una colombara e l'ingresso a volta. Casa Ronga risale al XVIII secolo ed è circondata da un ampio recinto in muratura con l'ingresso ad arco e con belle lastre di pietra che scandiscono la facciata. La Fattoria Xompero in contrà Lore verso l'altipiano del Cappello, risale al XVIII sec. e fu eretta in pietra lastrolare. Si accede oltrepassando un arco a tutto sesto. A San Pietro Vecchio sorge un modesto capitello ornato di un crocifisso ligneo posto fra due statue di pietra risalenti al tardo Settecento raffiguranti l'"Ecce Homo" e la Madonna con il Bambino. Per secoli la piccola Chiesa di San Pietro Vecchio era stata sufficiente per la popolazione e ancora oggi domina il paese: fu accuratamente restaurata dopo un lungo periodo di abbandono ed ha una scalinata che da' accesso al sagrato. Dedicata a S. Pietro e Paolo, risale probabilmente al XIV secolo. Al suo interno si può ammirare un antico polittico di qualche ignoto artista veneto del XVI secolo, che è un vero capolavoro e che è stato recentemente restaurato. Il cimitero attiguo risale al XV sec. ma per lungo tempo rimase l'abitudine di seppellire i morti all'interno della chiesa come attestano le numerose lapidi tombali. La costruzione della Nuova Chiesa Parrocchiale di stile neoclassico ebbe inizio nel 1887 e terminò nel 1893: è ad un'unica navata, con altari laterali: in marmo bianco l'Altare Maggiore, rosa il Sacro Cuore e giallo reale S. Antonio. E' famosa per aver subito gravi rappresaglie durante la seconda guerra mondiale, ed è stata soggetto di gravi ed irreversibili danni a causa di un incendio. Il parroco Don Luigi Bevilacqua venne barbaramente assassinato. Nell'oratorio attiguo si trovano lapidi che ricordano le rappresaglie con i nomi dei trucidati, la chiesa di S. Pietro Mussolino in fiamme e S. Pietro Mussolino restaurata. Il sacrificio dei caduti è ricordato dal Monumento a loro dedicato, inaugurato nel 1965, che sorge nel bivio della strada Valciampo con la confluenza della strada per la Campanella.

www.comune.sanpietromussolino.vi.it

 

Rassegna stampa dei prodotti De.Co. di San Pietro Mussolino

Santorso

Le prime tracce di insediamento umano risalgono al Neolitico recente (3800 – 3.000 a.C.) e sono state trovate nella Grotta Bocca Lorenza, una grotta usata dai primi abitanti di queste terre come ricovero per le loro attività di carattere prevalentemente pastorale. 

Tra il V e il II secolo a.C. l'abitato si distribuì lungo il fianco meridionale e alle pendici del Summano, come dimostrano i resti di un abitato della seconda età del Ferro.  Il villaggio era costituito da casette seminterrate di dimensioni abbastanza ridotte con un unico vano oppure con annessi dove presumibilmente venivano svolte specifiche attività artigianali. Intorno al II sec. a:C. si verificò l'abbandono del villaggio a cui fece seguito una rioccupazione dell'area attestata dal rinvenimento di alcune strutture romane a carattere rustico. La presenza dei romani nella zona è documentata anche dai resti di un "campo romano" (struttura militare) che sorgeva a cavallo dell'attuale confine sud tra i territori di Santorso e Schio.


Il nome di Santorso, che probabilmente era stato preceduto dal toponimo Salzena (dalle parole latine fundus saltienus), appare citato nei documenti già a partire dall'XI sec. e si ricollega al nome di un Santo di cui si narra una suggestiva leggenda. Il re di Dalmazia Orso, vissuto al tempo di Carlo Magno, dopo aver ucciso in un eccesso d'ira il padre, la moglie e il figlio si pentì e chiese il perdono al Papa.  Orso ottenne l'assoluzione, ma gli fu imposto come penitenza di vagare pellegrinando di regione in regione finché non fosse giunto al Santuario Mariano del monte Summano senza chiedere ad alcuno dove si trovasse il luogo. Dopo lungo pellegrinare giunse a Salzena alle pendici del Summano. Il penitente comprese di essere arrivato alla sua meta ma appena iniziata la salita del monte il 3 maggio 800 morì e fu trovato dalla gente del luogo con il bastone da pellegrino fiorito. Le sue reliquie vennero deposte nella chiesetta di San Dionigi e poi trasportate nel Santuario a lui dedicato.


Secondo qualche storico il nome Orso potrebbe essere legato invece a quello dei membri di una famiglia vicentina di origine longobarda: i Beroaldi, che per primi sarebbero entrati in possesso di investiture nel territorio del Comune. Ber in tedesco significa orso e quindi il nome del Santo sarebbe derivato dalla traduzione del nome di questa casata. La vita religiosa in Santorso si sviluppò prestissimo come testimoniano la presenza di un santuario preromano sulla cima del Monte Summano e i numerosi edifici religiosi sorti lungo i secoli su tutto il territorio del Paese. 


Recenti indagini archeologiche condotte in collaborazione con la Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto dimostrano, infatti, l'esistenza di un luogo di culto con frequentazioni a partire dal VI secolo a.C. fino al IV secolo d.C. A testimonianza di ciò gli archeologi hanno scoperto diversi materiali, tra cui due statuine in argento di età romana, decine di monete romane e resti di un'area sacra di età preromana.
La tradizione popolare fa risalire la storia del culto mariano sulla cima del Monte Summano a San Prosdocimo, discepolo di San Pietro e vescovo di Padova, che nel I secolo d.C. abbattè l'idolo pagano sulla vetta del monte per costruirvi un santuario dedicato a Maria.

In realtà questo santo fu davvero vescovo di padova, ma visse dopo il IV secolo d.C. e la leggenda è una rielaborazione che troviamo nei documenti solo a partire dal '400 e i primi anni del '500, quando la diocesi di Padova tentò di ampliare il proprio controllo sull'area del Monte Summano. Nelle prime attestazioni trecentesche si nominano la chiesa e il capitolo di Santa Maria del Summano, ma è solo dal 1387 con l'arrivo della congregazione dei Poveri Eremiti di San Gerolamo, in seguito chiamati Girolimini, che i lasciti e i voti a questa chiesa cominciano ad aumentare; gli storici concordano quindi nell'identificare il 1387 come il momento n cui la "chiesa del Monte Summano" diventa a pieno titolo il Ssantuario del Monte Summano". Dal 1475 al 1489 visse sul Summano il Beato Antonio da Brescia dei Padri Girolimini, che ressero le sorti del convento fino al 1774.
Per quanto riguarda la vita civile della comunità il castello di Santorso, proprietà dei conti Maltraversi, assunse una certa importanza verso la fine del XII sec., mentre nel 1240 passò agli Ezzelini per breve periodo e, gravemente danneggiato nel 1314 da una feroce invasione dei padovani, fu poi lasciato cadere in rovina.

Un fatto particolarmente significativo nella storia del paese è l'apertura nel 1474 di una delle prime tipografie del Veneto e la prima del Vicentino ad opera di Leonardo Achates di Basilea e di Giovanni del Reno, probabilmente chiamati in Italia dall'umanista Ognibene dei Bonisolo di Lonigo. I due prototipografi ebbero come allievo e abile prosecutore dell'arte della stampa Enrico da Ca' Zeno di Santorso che a Vicenza impresse anche importanti trattati di carattere notarile. Della stessa epoca sono gli Statuti della Comunità che furono approvati da una "vicinia" (adunanza di capifamiglia). 

Fin dal XIV secolo l'economia locale ebbe uno sviluppo particolare anche grazie alla presenza di numerosi molini e del maglio sorti lungo la roggia di Thiene, attività queste che continuarono anche nei secoli successivi.
La dinamicità della vita sociale ed economica è testimoniata in particolare dal sorgere dal XV fino al XIX secolo di ville e poderi che diedero impulso allo sviluppo architettonico ed economico locale. 
Dal punto di vista delle vicende storiche e politiche i secoli recenti furono per Santorso molto simili a quelli vissuti da analoghi paesi del Vicentino.

dal sito www.comune.santorso.vi.it

 

 

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Santorso

Schio

Schio è per numero di abitanti il terzo comune della provincia di Vicenza, situato all'imboccatura della Val Leogra e attorniato da un anfiteatro montagnoso che ha sfavorito lo sviluppo di culture contadine e commerciali, favorendo quindi lo sviluppo industriale (specialmente dell'arte laniera) come mezzo di sostentamento. L'antica cultura rurale, comunque ancora presente in questa cittadina, è testimoniata soprattutto dalla presenza di molte contrade nei suoi colli e montagne.

Il territorio è caratterizzato da un'ampia presenza mineraria nel sottosuolo sfruttato dall'uomo, fin dall'antichità, richiamando numerose popolazioni e favorendone l'insediamento. Queste popolazioni bonificarono il territorio e vi impiantarono numerose colture, dagli ortaggi alle granaglie, dalla frutta ai pascoli.

 

Il nome "Schio" deriva da scledum, termine latino medioevale indicante una pianta della famiglia della quercia. Nonostante il nome sia relativamente recente, Schio non è certo una città di recente fondazione. Le prime tracce della presenza dell'uomo in questo territorio risalgono addirittura all'epoca preistorica e vengono documentate da una vasta serie di reperti archeologici rinvenuti in zona.

 

Schio si trova in una posizione strategica di comunicazione e quindi ha da sempre attratto numerosi esempi di civiltà. Famosissima è ad esempio la pista dei Veneti che passa di qui e attraversa tutto il Veneto, dall'Adige al Piave, che permise agli antichi Veneti di colonizzare questo territorio.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Schio

Tonezza del Cimone

Tonezza è una tranquilla località di villeggiatura, estiva e invernale, che occupa l’altopiano affacciato da una parte all’alta valle dell’Astico e dall’altra al Trentino. Per raggiungerlo si sale da Arsiero percorrendo la cosiddetta Direttissima, strada che mantiene fede al suo nome procedendo per un decina di chilometri, intagliata nella roccia, con panorami mozzafiato.
A quota mille lo sguardo si acquieta in uno scenario di straordinaria bellezza: prati e contrade, boschi d’abeti e larici, sullo sfondo dello Spitz di Tonezza, che rappresenta la cima più orientale dell’arco montano che parte dalle Piccole Dolomiti e tocca il Pasubio. Tutta la zona è disseminata di trincee e appostamenti della Prima Guerra Mondiale: a ricordare quelle battaglie, il sacrario del monte Cimone (m 1230).

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Tonezza del Cimone

Torrebelvicino

È località d’esordio della Val Leogra, che da Schio s’innalza verso il passo di Pian delle Fugazze e il monte Pasubio. La sede comunale si trova a 260 metri di quota, ma l’impervietà del territorio risalta nelle cime prealpine che lo dominano: a nord il monte Enna (m 975) e a sud il monte Civillina (m 946). Nel toponimo sono riassunti i caratteri salienti della vicenda storica: «belvicino» deriverebbe infatti da una voce retica riferibile a un luogo sacro presso una fonte d’acqua; «torre» starebbe poi a ricordare un presidio militare d’epoca romana e «pieve», infine, a sottolineare il ruolo della chiesa locale nella cristianizzazione della valle. Un centro rilevante, dunque, prosperato nei secoli grazie ai traffici sulla strada tra Vicenza e Trento, con tutto quel che ne è conseguito in fatto di commerci e scambi culturali tra la pianura Padana e i paesi d’Oltralpe. Quanto alla realtà alimentare, prima dell’espansione dell’industria scledense, Torrebelvicino ha condiviso le attività agropastorali degli altri comuni della valle e goduto della loro stessa fama per la produzione salumiera, associando il proprio nome alla bondola, a fronte del primato di Valli del Pasubio per la sopressa.

 

Rassegna stampa dei prodotti De.Co. di Torrebelvicino

Torri di Quartesolo

Il nome del paese proviene da "Quartixolum", nome di origine romana, che deriverebbe da "quartum milium solum" (al quarto miglio), cioè al quarto miglio dal municipio romano di Vicenza. Il miglio romano misura m. 1.475: quattro miglia corrispondono circa a 6 km, distanza che separa Torri di Quartesolo da Vicenza. Fino alla fine del XIX secolo il comune veniva chiamato semplicemente Quartesolo. Successivamente, la località prese il nome attuale senza nessuna spiegazione (o, più probabilmente, i documenti che riguardavano il cambio di denominazione andarono perduti).

Il paese, confinando con Vicenza, in tempi recenti è diventato nel corso di pochi anni un grande centro industriale e commerciale di riferimento per l'intera provincia ma anche per la quella di Padova. In pochissimi chilometri sono sorte due grandi aree commerciali: "Le Piramidi" (che con i suoi 150 negozi in un unico blocco, i grandi magazzini, i pub, le discoteche e la multisala cinematografica "Warner Village" è diventato il polo commerciale più grande del Veneto), e il centro "Palladio" di 100 negozi (solo per poche decine di metri amministrativamente entro il territorio del Comune di Vicenza, ma di fatto gravitante su Torri).

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Torri di Quartesolo

Trissino

 Trissino Trissino è comune posto all’imbocco della valle dell’Agno, segnalato dal campanile della chiesa Arcipretale e dallo scenografico complesso di villa Trissino. È uno dei complessi monumentali più suggestivi del Veneto. Sorge sulla collina che domina il paese, laddove si trovava il castello medievale, e comprende due costruzioni settecentesche, separate da scenografiche terrazze: la villa Superiore, maestosa, ancora oggi residenza dei conti Marzotto, e la Villa Inferiore, diroccata da un fulmine, adattata a rovina romantica. Tutt’intorno, il parco, di oltre 20 ettari, con 8 chilometri di sentieri, in alternanza di prati boscati all’inglese e di giardini formali all’italiana, popolato da decine di statue per lo più della celebre bottega dei Marinali. Il primo incarico, che comprendeva tanto la costruzione della villa Superiore quanto la sistemazione del giardino, fu affidato attorno alla metà del Settecento all'architetto Francesco Muttoni, che se ne occupò fino alla morte, quindi al veronese Gerolamo Dal Pozzo. Degno di nota è lo spazio a prato che si stende di fronte alla villa Superiore, delimitato da una sorta di recinto nel quale si aprono archi e nicchie: una sorta di salotto all'aperto, che per l’ottima acustica è utilizzato per concerti e manifestazioni teatrali. Tra le parti più suggestive del parco, la peschiera ottagonale circondata da statue in pose fantasiose. Nella parte alta del territorio comunale, la frazione di Selva, a 551 metri di quota.

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Trissino

Valdagno

La statale che dalla pianura risale la valle dell’Agno verso Recoaro Terme dopo una dozzina di chilometri ne attraversa il capoluogo storico: sulla sponda sinistra del fiume è la parte antica dell’abitato, di carattere settecentesco; sulla destra, quella moderna, cresciuta di pari passo alle industrie laniere della Marzotto. Fondata nell’anno 861, al tempo di Ludovico il Giovane, pronipote di Carlo Magno, Valdagno diventa punto di riferimento di una plaga montana vocata all’allevamento ovino e alla lavorazione dei metalli, ma è dopo la dedizione di Vicenza alla Repubblica di Venezia, nel 1404, che decolla come uno dei primi centri dell’industria tessile veneta. Nel nucleo storico la passeggiata di corso Italia porta a scoprire scorci di bella atmosfera: il Duomo di San Clemente; la piazza del Comune con lo storico caffè Garibaldi; il palazzo Festari, sede di un museo paleontologico e di mostre, e Villa Valle Marzotto, l’architettura più nobile del centro, circondata da un giardino all’inglese di tre ettari. Modernista è invece la fisionomia della cosiddetta Città Sociale, ovvero i quartieri residenziali e le strutture costruiti tra il 1926 e il 1946 nell’Oltre Agno dall’architetto Francesco Bonfanti su committenza dei Marzotto. Oltre alle abitazioni, dai grandi edifici a corte per gli operai ai villini per i funzionari, il complesso comprende vari edifici pubblici: scuole di vario livello, una piscina coperta e perfino uno stadio. È un episodio urbanistico notevolissimo anche per suggestione architettonica, che nei suoi scorci ricorda certi quadri metafisici di De Chirico. Lo stesso memoriale dedicato al massimo artefice dell’industria tessile, Gaetano Marzotto (1820-1910), gruppo bronzeo dello scultore Luciano Minguzzi, è un’opera d’arte contemporanea di prim’ordine. Sullo sfondo della città, alla testata della valle, una scenografica corona di montagne completa il quadro di Valdagno. La massima elevazione è Cima Carega, m 2259, e per questo sono affettuosamente chiamate Piccole Dolomiti, ma per forma, – creste affilate, guglie e canaloni, – e per il colore che assumono nel tramonto, non hanno nulla da invidiare alle più celebri vette della loro famiglia. 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Valdagno

 

 

 

Valli del Pasubio

Valli del Pasubio è il comune più alto della Val Leogra, sullo spigolo nord-ovest della provincia di Vicenza, attraversato dalla strada statale che da Schio sale verso il passo di Pian delle Fugazze (m 1162), storico punto di frontiera, prima tra la Repubblica di Venezia e il regno del Tirolo, quindi tra il Regno d’Italia e l’Impero Austroungarico. A questa collocazione di passaggio e confine il paese deve la sua antica fortuna, testimoniata dalla bella fisionomia del capoluogo, ma anche le rovinose vicissitudine patite durante la Prima Guerra Mondiale. Il comune, nella sua odierna realtà nasce ai primi dell’Ottocento dall’unione di due territori ad amministrazione fino ad allora distinta: Valli dei Signori, sul versante occidentale del bacino, e Valli dei Conti, su quello orientale. Il riferimento per le nobili famiglie dei Da Vivaro e dei Maltraverso, rispettivamente, suggerisce l’interesse suscitato fin dall’antichità da queste plaghe montane, ricche di boschi e di acque, dunque redditizie in termini di legname, selvaggina e prodotti agricoli. Dopo la prima Guerra Mondiale il nome del comune si completa con il riferimento al monte Pasubio, teatro di sanguinose battaglie, come ricorda il Sacrario eretto vicino al passo.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Valli del Pasubio

Villaga

Villaga è uno dei comuni più meridionali della provincia di Vicenza. Il suo territorio si sviluppa perpendicolarmente alla Riviera Berica, la strada che collega Vicenza a Este, lungo la quale corre il canale del Bisatto, e si allunga sulla dorsale dei Colli Berici che accompagna la Val Liona. Il quadro paesaggistico è quello di una campagna aperta, disegnata dagli arativi, che presto lascia spazio al vigneto sulle prime ondulazioni e poi al bosco che ammanta il monte Tondo (m 415). Il capoluogo Villaga si trova in posizione mediana, ma singolarmente vicino a Barbarano, il centro più cospicuo della Riviera, col quale in effetti ha avuto secolari legami amministrativi. L’antico nome del paese, ‘Viraga’, viene interpretato come un riferimento al possidente romano, tale Virius, che amministrava il territorio, a dimostrazione del suo precocissimo sviluppo agricolo. Tre sono le località dipendenti: Belvedere, in pianura, con il Castello che s’innalza su un dosso isolato offrendo vista fino a Este e Montagnana, e talora fino agli Appennini; poi, Toara, al piede della collina, che rimanda a una pietra tufacea, detta ‘toazio’, indicativa della natura vulcanica del luogo ed anche dell’intensa mineralità dei suoi vini; infine, Pozzolo, cosiddetta a motivo dei numerosi pozzi che rendono conveniente la coltura sull’altopiano sul quale sorge. Nel capoluogo risalta la chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, che proprio per questo suggerisce un ruolo nella sua fondazione da parte dei Longobardi, tradizionalmente legati alla figura del guerriero celeste. Nella fascia di pianura risaltano alcune signorili dimore di campagna: villa Piovene a Toara, che lega il suo nome a una quotata produzione vinicola; il già citato Castello di Belvedere, indicazione corrente di villa Barbarano; villa Palma Bedeschi, in località San Silvestro, già sede di una commenda dei Cavalieri di Malta, a testimonianza della sua collocazione su un antico tracciato di pellegrinaggio. Ai margini dell’altopiano di Pozzolo, infine, in una zona di suggestive grotte carsiche, l’eremo di San Donato, oggi punto di riferimento di un sentiero naturalistico.


villaga

 

 

Il Comune di Villaga ha istituito nel 2012 il registro delle denominazioni comunali a cui iscriverà a breve due prodotti :
Il rampuzzolo de Villaga e i Bisi de Pozzolo.
 
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Villaverla

Villaverla è comune d’alta pianura attraversato dalla statale del Costo che da Vicenza sale verso Thiene e l’Altopiano di Asiago. Il nome del paese fa riferimento alla famiglia dei Verla, che l’ebbe in feudo dal Medioevo. La ciminiera di una storica fornace domina l’abitato a ricordare che in secoli più recenti la ricchezza del luogo è venuta dalla produzione di laterizi.
Del notevole patrimonio monumentale del comune merita citazione l’incompiuta villa Ghellini che si presenta compiutamente definita nei volumi, articolati attorno a un maestoso cortile, ma assolutamente spoglia negli interni; proprio per questo il complesso, nella sua surreale bellezza, è oggi adibito a mostre temporanee ed eventi pubblici.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Villaverla

 

Zanè

Zanè ed i bigoli con l'arna: una storia che parte da lontano
SI RIVELÒ SUBITO UN SUCCESSO LA PRIMA EDIZIONE CON 250 PORZIONI DI BIGOLI E L´USO DI SEI ANATRE
 
Nel 1964, ancor prima della nascita della Pro Loco, un cittadino di Zanè dà vita ad un gruppo autogestito e autofinanziato, per realizzare alcune iniziative a carattere sociale nell´ambito del Patronato, con la collaborazione del cappellano e delle suore dell´asilo.
Tra le prime iniziative, si ricordano il posizionamento delle giostre, di una mongolfiera posta all´interno dell´allora Asilo e il palo della cuccagna.
Nel tempo, l´originario Gruppo si incrementa nel numero grazie all´adesione di altri amici e durante un loro ritrovo al bar "da Rinaldo" decidono di costituire la Pro Loco di Zanè.
Nasce così nell´ottobre del 1972 la prima Sagra dei "Bigoli cò l´arna" che proponeva per la prima volta questa specialità gastronomica della nostra tradizione contadina.
L´inizio, si sa, è sempre un´avventura e infatti, per i primi anni, i "bigoli" vennero preparati con i mezzi più disparati; torchi e pentole venivano prestati dalle famiglie del paese, mentre il ragù veniva preparato dalle suore della scuola materna.
La prima edizione della manifestazione si tenne nel cortile della parrocchia.
Tutto era un po´ improvvisato, ma la voglia di fare era tanta e tutti hanno dato il meglio per la buona riuscita dell´evento.
Il successo è stato la naturale conseguenza di tanto impegno collettivo ed il motore per cominciare a pensare, da subito, all´edizione successiva, con la voglia di fare ancor meglio.
Per la Pro Loco si trattò di un´impresa da ricordare: furono preparate 250 porzioni di bigoli, e impiegate sei anatre. Sembravano numeri imponenti per l´epoca, quando tutto si faceva a mano, Ma nulla hanno a che vedere con quello che si è riusciti a fare negli anni; nel 2011, durante la 39ª edizione, sono stati consumati 20 quintali di bigoli e 10 quintali di anatre.

 

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Zermeghedo

Adagiato sulle ultimi propaggini meridionali dei Lessini, subito a nord di Montebello, a sud di Montorso, sulla sinistra della strada provinciale di Val di Chiampo, Zermeghedo e' il piu' piccolo dei nove comuni della valle del Chiampo.

 

Probabilmente il nome "Zermeghedo" è di origine longobarda, come testimonia la toponomastica locale, così ricca di termini germanici. si sarebbe trattato, infatti, di un dislocamento militare dell'armata del re Alboino, posto a difesa della Via Postumia contro eventuali attacchi provenienti da Nord.
Re Alboino, ex mercenario dell'esercito Romano d'Oriente, a capo di una massa di uomini, in gran parte Longobardi, convertitosi al Cristianesimo, forse per motivi politici, iniziò il suo lungo cammino, seguito dalla sua gente. Entrò nel Friuli, percorrendo la statale Postumia, mettendosi ai lati della strada forti capisaldi (fare) destinati a favorire la via di fuga in caso di necessità e ad assicurare i rifornimenti.
Una di queste fare fu appunto Zermeghedo costituitasi nel 568 circa, baluardo di difesa a nord contro l'insediamento romano di Arx Janii (Arzignano).
Nell'OttocentoZermeghedo passò sotto la dominazione dei Franchi succeduti ai Longobardi. Dopo il Mille si svilupparono nella zona i Comuni di cui poche sono le tracce rimaste, finché nel 1250 Zermeghedo fu interessato dall'attacco di Ezzelino da Romano che in quell'epoca distrusse la vicina Montorso. Piazza Questo provocò una grande scossa, tanto che i conti Maltraverso nel 1265 vendettero i comuni di Montebello e Zermeghedo alla libera città di Vicenza.

 

Così poté sorgere il libero comune di Zermeghedo che il 23 aprile del 1335 solennemente compilò i suoi Statuti Comunali, uno dei primi Comuni. In questa data, dopo la Messa, sotto il portego della casa di Uguccione fu Olderico si riunirono i 34 capofamiglia convocati "ad sonum tabulae" e alla presenza dei dovuti notai provenienti da Montorso, Grancona e Brendola solennemente stesero gli Statuti del Comune, suddivisi in 67 articoli, tuttora visibili, in ottimo stato di conservazione, presso la Biblioteca Bertoliana di Vicenza.Zermeghedo rimase sempre un paese a popolazione ridottissima, per cui ogni volta che si presentò un governo centralista il paese perse la propria autonomia, e ciò avvenne sia in epoca napoleonica che in epoca fascista. 

 

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Notizie

Notizie dai Comuni De.Co. vicentini

Multimedia

Video dai comuni DE.CO.

Foto e video Prodotti De.Co. di Bolzano Vicentino

testo della categoria 'Bolzano Vicentino':

Il territorio comunale è letteralmente diviso in due dal corso del Tesina, che nasce poco distante, in territorio di Sandrigo, ed è già un fiume bell’e fatto quando sfiora Bolzano Vicentino. Questo apparente miracolo si deve alla straordinaria ricchezza delle risorgive che punteggiano questa fascia di pianura, riportando alla luce le acque meteoriche penetrate nel sottosuolo ghiaioso al piede delle montagne. È questa ricchezza d’acque a favorire l’insediamento umano fin da tempi remoti, anche se per avere i primi riscontri documentali occorre aspettare l’età romana e in particolare il 148 avanti Cristo con l’apertura della Via Postumia, che collega Verona ad Aquileia, sul mare Adriatico. Queste sono le circostanze che inducono a riferire il primo nome attestato, Bauzanum, al possidente romano, tale Bautius, verosimilmente responsabile della prima opera di bonifica e centuriazione delle terre. Dopo il crollo dell’Impero e l’abbandono dei secoli bui è sempre l’acqua a sollecitare la precoce rinascita del territorio, grazie ai monaci del convento vicentino di San Felice, che lo bonificano ponendo anche le basi del suo primo sviluppo industriale, grazie all’energia idraulica, per muovere prima le pale dei mulini e poi i meccanismi delle manifatture. Sono questi i secoli in cui si affermano le colture foraggere e la caseria, che trovano riscontro ancora oggi nell’ameno paesaggio dei prati stabili, disegnati da siepi e alberate, e nella produzione del formaggio da serbo destinato a chiamarsi grana. Il benessere dell’età più vicina, sotto l’egida della Repubblica di Venezia, risalta in modo singolare dalle pagine di un’opera universale, «I Quattro Libri dell’Architettura» di Andrea Palladio, che tramanda l’immagine maestosa della villa commissionata nel 1563 dai Valmarana di Lisiera. Dopo l’Unità d’Italia Bolzano Vicentino s’è dotato della ferrovia, di nuove strade e in tempi recenti persino uno svincolo autostradale, che stanno richiamando molte attività lungo la Postumia, ma fortunatamente basta staccarsene di poco per riscoprire l’antica bellezza delle campagne del Tesina.

Foto e video Prodotti De.Co. di Chiampo

La cittadina, capoluogo della valle, è celebre per i suoi marmi, di ben 74 varietà, estratti fin dall’antichità e oggi esportati in ogni parte del mondo. In piazza, una colonna di marmo pentelico svetta a ricordare una delle realizzazioni più straordinarie degli artigiani locali, l’esatta riproduzione del Partenone di Atene commissionata dalla città israeliana di Haifa. Poi c’è il Santuario della Pieve, che nell’alto Medioevo fu punto d’irradiazione del Cristianesimo nella valle: nella chiesa, una Madonna col Bambino, preziosa statua rinascimentale di marmo dipinto; nel parco, una spettacolare Via Crucis, comprendente 42 grandi statue di bronzo di celebri artisti, e la cosiddetta Grotta di Lourdes, esatta riproduzione di quella della località francese, eretta nel 1935 per opera del Beato Claudio Granzotto e divenuta fulcro di un grande movimento mariano; infine, il museo, che abbina elementi di interesse naturalistico a testimonianze legate alla vita del Beato Claudio e alle attività dei Francescani che officiano la Pieve. Allargando lo sguardo, si abbracciano le colline che sono l’altro vanto di Chiampo per via delle ciliegie, della locale varietà Durona, cui sono dedicate varie manifestazioni tra maggio e giugno. Più a monte, si entra nel parco Regionale della Lessinia, territorio dai paesaggi fiabeschi, ma apprezzato anche per i prodotti tipici, – trote, formaggi, lumache, tartufi e marroni, – con sorprendente riscontro di buona cucina.

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Foto e video Prodotti De.Co. di Asigliano Veneto

Asigliano Veneto è uno dei comuni della Bassa vicentina, posizionato quasi sul confine provinciale a mo’ di punto medio tra Noventa Vicentina e Cologna Veneta; un paese di 950 abitanti, sullo sfondo di una campagna di eccezionale vocazione agricola per la composizione del terreno, fertile e leggero, e l'abbondanza di acque, che sono quelle del Ronego, affluente del Guà.

 

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Foto e video Prodotti De.Co. di Grumolo delle Abbadesse

Grumolo delle Abbadesse: 3400 anime distribuite nel centro comunale e nelle due due frazioni di Vancimuglio e Sarmego, poco discoste dalla strada Padana Superiore che collega Vicenza a Padova; un paesaggio di campagne di antica bellezza, con specifica vocazione per la risaia e una cospicua eredità in ville palladiane.
Tra queste, villa Godi Piovene, del 1597, interessante perché oltre alla dimora padronale conserva un complesso rurale evidentemente funzionale alla lavorazione e allo stoccaggio del riso, con tanto di mulino ad acqua per la pilatura del cereale.

 

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Foto e video Prodotti De.Co. di Laghi

Laghi è comune montano del quadrante nord-occidentale della provincia, al confine con il Trentino. Da Arsiero, capoluogo della Valdastico, si imbocca la strada che supera la strettoia tra il Priaforà e il Cimone accedendo all’appartata valle del Posina. A Castana, pochi chilometri più a monte, si devia risalendo il corso del torrente Zara fino al capoluogo, che sorge a 550 metri di quota, a margine dei due specchi d’acqua che danno nome al comune.
Sullo sfondo della valle risaltano il monte Maio e il Cimone dei Laghi, due vette che sfiorano i 1500 metri. Nel nome delle contrade e delle famiglie che le abitano, come anche nella parlata locale, restano tracce della civiltà dei Cimbri, la popolazione di origine bavarese che nel Medioevo ha colonizzato le montagne tra l’Altopiano di Asiago e i Monti Lessini.

 

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Foto e video Prodotti De.Co. di Longare

Longare è comune della Riviera Berica, la strada che da Vicenza scende verso Noventa seguendo il margine orientale dei Colli Berici. Superato il capoluogo, si raggiunge la frazione di Lumignano, che innalza l’altissimo campanile sullo sfondo di una rupe calcarea. Questa a un esame ravvicinato rivela il suo remoto passato di barriera corallina, al tempo in cui i colli spuntavano come un arcipelago dal mare che ricopriva la pianura Padana.
Incastonato nella roccia, appena sopra il limite del bosco, si scorge l’eremo medievale di San Cassiano. Tutt’intorno, i cosiddetti ‘covoli’, grotte e cavità tipiche degli ambienti carsici. Nell’aria, le voci degli appassionati di free-climbing, che qui trovano una delle più palestre di roccia più impegnative d’Italia, con oltre 70 vie attrezzate.

 

 

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Foto e video Prodotti De.Co. di Marano Vicentino

Marano Vicentino è comune dell’alta pianura vicentina, confinante con Schio e poco discosto dalla statale che da Vicenza sale fino al Pian delle Fugazze, tra le Piccole Dolomiti e il Pasubio. Il suo territorio vede la confluenza del torrente Leogra, che discende questa valle, nel Timonchio, che nasce invece dall’altopiano del Tretto e versa le sue acque nel Bacchiglione.
Corsi d’acqua naturali e rogge tracciate dai suoi antichi feudatari hanno fatto di Marano un comune d’antica vocazione agricola, come fanno fede ville e fattorie del suo territorio.

 

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Foto e video Prodotti De.Co. di Montecchio Maggiore

Montecchio Maggiore si trova all’imbocco della valle dell’Agno, dove la statale di Recoaro si stacca dalla Padana Superiore. Alzando lo sguardo, il primo segno della nobiltà del luogo: due manieri medievali contrapposti, secondo la leggenda l’uno dei Montecchi e l’altro dei Capuleti, ovvero di Romeo e Giulietta, gli innamorati resi celebri da Shakespeare, ma nati dalla fantasia del vicentino Luigi da Porto, che proprio da queste parti era nato.
Poco distante, attraversando il centro storico, si raggiunge la palladiana villa Cordellina, una delle meraviglie architettoniche della provincia: residenza sontuosa e scenario per un grande ciclo di affreschi di Giambattista Tiepolo, con un bellissimo giardino, oggi teatro di convegni, eventi musicali e banchetti.

 

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Foto e video Prodotti De.Co. di Monticello Conte Otto

Monticello Conte Otto è comune della pianura a nord di Vicenza, nella cosiddetta ‘fascia delle risorgive’, dove le acque dei torrenti montani, penetrate nel sottosuolo ghiaioso, tornano alla luce formando specchi d’acqua cristallina. L’ambiente che ne risulta è molto particolare, sia per l’esuberanza della vegetazione spontanea, sia per la generosità delle terre coltivate. La straordinaria vocazione agricola di queste campagne è testimoniata dalla presenza di numerose ville, un tempo al centro di grandi proprietà terriere. Da segnalare, in particolare, a Vigardolo, una piccola gemma architettonica: villa Valmarana, del 1542, una delle prime opere di Andrea Palladio, per questo inclusa nella lista dei beni del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

 

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Foto e video Prodotti De.Co. di Montorso Vicentino

Montorso Vicentino è comune del settore occidentale della provincia, disteso all’imbocco della valle del Chiampo nello scenario delle ultime propaggini dei Monti Lessini. Il monumento più significativo del paese spicca nel tratto di campagna pianeggiante: è la villa dello scrittore Luigi da Porto, vissuto a cavallo tra Quattro e Cinquecento, autore della novella che più tardi avrebbe ispirato William Shakespeare nella stesura della tragedia di «Romeo e Giulietta».
La parte più caratteristica dell’abitato si stende però sulle pendici del Colle della Fratta. Al vertice è il pittoresco nucleo composto dal palazzo comunale e dalla parrocchiale di San Biagio, tra migliori esempi del Neoclassico vicentino. Della chiesa più antica, che sorgeva sul colle vicino, resta solo la torre campanaria, che svetta oltre il profilo degli alberi.

 

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Foto e video Prodotti De.Co. di Rotzo

Il versante occidentale dell’altopiano di Asiago è segnato da un profondo intaglio, la val d’Assa, chiusa da rupi verticali e ammantata da boschi che nascondono alla vista l’unico corso d’acqua rilevante che scende dalle alture sovrastanti.
Sul ripiano che separa il ciglio settentrionale di questo canalone selvaggio dalla dorsale della Cima di Campolongo si stende una zona di verdi ondulazioni, un piccolo delizioso altopiano nell’altopiano, compreso tra gli 800 e i 1000 metri di quota. Lo attraversa la strada del Piovan, che stringe attorno a sé le poche contrade e poi scende in vertiginosi tornanti verso la Val d’Astico. Un campanile guida lo sguardo verso il centro comunale, Rotzo, che nel nome riassume origine e collocazione geografica: ‘roccia, rupe, scoglio’, questo significa il termine rotz nella parlata dei Cimbri, la gente di origine bavarese, boscaioli, allevatori e contadini, che intorno al Mille fu chiamata dai vescovi vicentini a colonizzare l’altopiano.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Rotzo

Foto e video Prodotti De.Co. di Schio

Schio è per numero di abitanti il terzo comune della provincia di Vicenza, situato all'imboccatura della Val Leogra e attorniato da un anfiteatro montagnoso che ha sfavorito lo sviluppo di culture contadine e commerciali, favorendo quindi lo sviluppo industriale (specialmente dell'arte laniera) come mezzo di sostentamento. L'antica cultura rurale, comunque ancora presente in questa cittadina, è testimoniata soprattutto dalla presenza di molte contrade nei suoi colli e montagne.

Il territorio è caratterizzato da un'ampia presenza mineraria nel sottosuolo sfruttato dall'uomo, fin dall'antichità, richiamando numerose popolazioni e favorendone l'insediamento. Queste popolazioni bonificarono il territorio e vi impiantarono numerose colture, dagli ortaggi alle granaglie, dalla frutta ai pascoli.

 

Il nome "Schio" deriva da scledum, termine latino medioevale indicante una pianta della famiglia della quercia. Nonostante il nome sia relativamente recente, Schio non è certo una città di recente fondazione. Le prime tracce della presenza dell'uomo in questo territorio risalgono addirittura all'epoca preistorica e vengono documentate da una vasta serie di reperti archeologici rinvenuti in zona.

 

Schio si trova in una posizione strategica di comunicazione e quindi ha da sempre attratto numerosi esempi di civiltà. Famosissima è ad esempio la pista dei Veneti che passa di qui e attraversa tutto il Veneto, dall'Adige al Piave, che permise agli antichi Veneti di colonizzare questo territorio.

 

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Foto e video Prodotti De.Co. di Tonezza del Cimone

Tonezza è una tranquilla località di villeggiatura, estiva e invernale, che occupa l’altopiano affacciato da una parte all’alta valle dell’Astico e dall’altra al Trentino. Per raggiungerlo si sale da Arsiero percorrendo la cosiddetta Direttissima, strada che mantiene fede al suo nome procedendo per un decina di chilometri, intagliata nella roccia, con panorami mozzafiato.
A quota mille lo sguardo si acquieta in uno scenario di straordinaria bellezza: prati e contrade, boschi d’abeti e larici, sullo sfondo dello Spitz di Tonezza, che rappresenta la cima più orientale dell’arco montano che parte dalle Piccole Dolomiti e tocca il Pasubio. Tutta la zona è disseminata di trincee e appostamenti della Prima Guerra Mondiale: a ricordare quelle battaglie, il sacrario del monte Cimone (m 1230).

 

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Foto e video Prodotti De.Co. di Torrebelvicino

È località d’esordio della Val Leogra, che da Schio s’innalza verso il passo di Pian delle Fugazze e il monte Pasubio. La sede comunale si trova a 260 metri di quota, ma l’impervietà del territorio risalta nelle cime prealpine che lo dominano: a nord il monte Enna (m 975) e a sud il monte Civillina (m 946). Nel toponimo sono riassunti i caratteri salienti della vicenda storica: «belvicino» deriverebbe infatti da una voce retica riferibile a un luogo sacro presso una fonte d’acqua; «torre» starebbe poi a ricordare un presidio militare d’epoca romana e «pieve», infine, a sottolineare il ruolo della chiesa locale nella cristianizzazione della valle. Un centro rilevante, dunque, prosperato nei secoli grazie ai traffici sulla strada tra Vicenza e Trento, con tutto quel che ne è conseguito in fatto di commerci e scambi culturali tra la pianura Padana e i paesi d’Oltralpe. Quanto alla realtà alimentare, prima dell’espansione dell’industria scledense, Torrebelvicino ha condiviso le attività agropastorali degli altri comuni della valle e goduto della loro stessa fama per la produzione salumiera, associando il proprio nome alla bondola, a fronte del primato di Valli del Pasubio per la sopressa.

 

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Foto e video Prodotti De.Co. di Valli del Pasubio

Valli del Pasubio è il comune più alto della Val Leogra, sullo spigolo nord-ovest della provincia di Vicenza, attraversato dalla strada statale che da Schio sale verso il passo di Pian delle Fugazze (m 1162), storico punto di frontiera, prima tra la Repubblica di Venezia e il regno del Tirolo, quindi tra il Regno d’Italia e l’Impero Austroungarico. A questa collocazione di passaggio e confine il paese deve la sua antica fortuna, testimoniata dalla bella fisionomia del capoluogo, ma anche le rovinose vicissitudine patite durante la Prima Guerra Mondiale. Il comune, nella sua odierna realtà nasce ai primi dell’Ottocento dall’unione di due territori ad amministrazione fino ad allora distinta: Valli dei Signori, sul versante occidentale del bacino, e Valli dei Conti, su quello orientale. Il riferimento per le nobili famiglie dei Da Vivaro e dei Maltraverso, rispettivamente, suggerisce l’interesse suscitato fin dall’antichità da queste plaghe montane, ricche di boschi e di acque, dunque redditizie in termini di legname, selvaggina e prodotti agricoli. Dopo la prima Guerra Mondiale il nome del comune si completa con il riferimento al monte Pasubio, teatro di sanguinose battaglie, come ricorda il Sacrario eretto vicino al passo.

 

Rassegna stampa prodotti De.Co. di Valli del Pasubio

Foto e video Prodotti De.Co. di Villaverla

Villaverla è comune d’alta pianura attraversato dalla statale del Costo che da Vicenza sale verso Thiene e l’Altopiano di Asiago. Il nome del paese fa riferimento alla famiglia dei Verla, che l’ebbe in feudo dal Medioevo. La ciminiera di una storica fornace domina l’abitato a ricordare che in secoli più recenti la ricchezza del luogo è venuta dalla produzione di laterizi.
Del notevole patrimonio monumentale del comune merita citazione l’incompiuta villa Ghellini che si presenta compiutamente definita nei volumi, articolati attorno a un maestoso cortile, ma assolutamente spoglia negli interni; proprio per questo il complesso, nella sua surreale bellezza, è oggi adibito a mostre temporanee ed eventi pubblici.

 

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