Calvene è un piccolo paese di circa 1300 anime situato nella Provincia di Vicenza.
Lapidi romane rinvenute nel Vicentino e numerose monete dell’età repubblicana e imperiale, trovate durante gli scavi per la costruzione dell’ex Casa del Fascio, testimoniano che Calvene esisteva già ai tempi di Roma. Le prime notizie certe risalgono al 914. Successivamente Calvene fu donato da un longobardo al Convento Padovano di Santo Stefano e dato in feudo dai Vescovi di Padova ai signori del luogo. Ceduto al Comune di Vicenza, diventò un importante centro religioso e civile. Nel 1404 passò sotto il dominio della Repubblica di Venezia. La peste, il colera e il banditismo flagellarono ripetutamente sul paese. Durante la dominazione francese Calvene fece parte del dipartimento del Bacchiglione. Dopo l’Unità d’ Italia i Calvenesi conobbero l’emigrazione soprattutto in terre d’ oltremare. Durante la Prima Guerra Mondiale Calvene, situato in prossimità del fronte, visse giorni di tremenda angoscia (evacuazione del paese, profughi, requisizione del bestiame, scuole trasformate in ospedali da campo). In quel periodo fu aperta la “Strada della salvezza”: 18 chilometri di rapido collegamento con l’Altopiano dei Sette Comuni, di vitale importanza nei momenti più critici Anche la Seconda Guerra Mondiale lasciò tracce sanguinose: Calvene, per il suo aspetto impervio e montagnoso, fu centro importante della Resistenza e qui operò anche la Brigata Mazzini.

Calvene confina con Chiuppano, Caltrano, Lugo di Vicenza e quindi con Asiago: è proprio verso la celebre località montana vicentina che Calvene si erge come ponte, mettendo in collegamento le colline delle Bregonze alla montagna di Asiago. Sul territorio di Calvene insistono infatti antiche vie di ascensione verso l’Altipiano dei Sette Comuni o di Asiago: quella della Val Porca e quella della Val Chioda e la Val Savina. Oltre al torrente Astico, Calvene è solcato ad est dal torrente Chiavona. Oggi affluente dell’Astico di modesta portata, un tempo la Chiavona era un indomito corso d’acqua suscettibile di rovinose piene che causarono epocali disgrazie.
Calvene è un paese dalla geografia peculiare, che si sviluppa in una ritmica scansione di collina-pianura-montagna. Partendo dai 165 metri di altezza in una conca dal fondovalle, è chiuso a sud dal Monte Grumo di 385 metri, rilievo di origine morenica del comprensorio delle Bregonze.
A nord, Calvene s’innalza verso l’Altipiano con un dislivello di quasi 1400 metri. Qui Calvene diventa alta montagna, con un territorio caratterizzato da profonde valli boscose e due rilievi: la zona di Monte Cavalletto (o semplicemente Cavalletto) a 1230 metri e di Cima Fonte (o Cima Fonti) a 1519 metri, nota come il punto più panoramico delle propaggini meridionali dell’Altipiano dei Sette Comuni.
Con le sue numerose frazioni sparse, dalla storia ultra-millenaria e dalla profonda identità di comunità, Calvene è ancor oggi un paese rurale diffuso.
Il bosco occupa più dell’80% del territorio montano di Calvene ed è costituito prevalentemente da abeti rossi, abeti bianchi, faggi e carpini neri. In collina dominano castagneti e noccioli, mentre, nella sua parte pianeggiante si trovano prati foraggieri, viti, uliveti e si coltiva il granoturco.
La varietà vegetale si amplifica a sud del paese, nella parte compresa nelle colline delle Bregonze, gruppo di rilievi collinari di origine vulcanica dalla roccia erodibile, dove le vegetazioni rupestri si concretizzano in un leggero strato di muschi e licheni. A Calvene esistono porzioni di terreno destinate ad uso civico da parte della popolazione. Si tratta di pascoli e boschi. Un tempo i primi erano utilizzati per il nutrimento delle bestie allevate, i secondi per il taglio di legname da costruzione e della legna da ardere per uso familiare. La flora è di tipica espressione collinare e montana: distese puntellate di colchici e taràssaco, cuscini d’erica, prati con margherite e narcisi. Non manca il giglio, fiore simbolo del territorio. Più in alto compaiono genziane, garofani selvatici e ciclamini. Il sottobosco si compone di felci, licheni e, naturalmente, di funghi e di frutti di bosco. La fauna montana di Calvene annovera mammiferi ungulati come il capriolo ed il muflone. Nei boschi si possono rinvenire lepri, volpi, tassi, faine, scoiattoli, ghiri. Tra gli avicoli, si può ancora sperare d’incontrare il gallo cedrone ed il gallo forcello. Il clima è mite nella parte esposta a sud e più fresco e rigido nella zona di montagna, dove d’inverno cade ancora la neve.

Attività agro-pastorali a Calvene

Fino al Novecento Calvene era un paese tenacemente attaccato ad un'economia agricola e silvo-pastorale; la popolazione si dedicava alla coltivazione di viti e ulivi, all’allevamento di capre pecore e bovini, al taglio dei boschi ed alla produzione di carbone. Il fondovalle, dove si trovano le contrade Bordogni, Rossi, Colesello, Valsavina e Costa, è la parte più fertile del paese, dove un secolo fa erano censite circa 240 aziende agricole. Nel Medioevo Calvene era nota per la lavorazione della lana. A questa attività si aggiungeva il tradizionale artigianato, oggi estinto, della produzione degli intrecci e dei cappelli di paglia, meglio conosciuta come l’arte della dressa e l'allevamento dei bachi da seta. Forse è in virtù di questa vocazione che l’unica manifattura a lungo operativa a Calvene è stata quella tessile. Oggi, salvo pochi casi, l’attività agricola e agropastorale non è più la fonte principale di sussistenza. Anche l’attività casearia è stata progressivamente abbandonata. Tale pratica era stata condotta sia in ambito familiare che collettivo: nel 1907 venne infatti fondata la latteria sociale di Sant’Antonio e, assieme, la cooperativa di consumo (o Magazzino Cooperativo) e fino alla metà del secolo scorso il latte veniva lavorato nel caseificio di San Bovo (fondato nel 1929) e nei turnari del Malleo e di San Bellino. Nella montagna di Calvene sopravvive tuttavia l’attività agricola dell’alpeggio: i verdi pascoli di Busa Fonte sono ancora occupati da bovini e greggi nel periodo da giugno a settembre.
A Monte di Calvene si pratica ancora l’antica tradizione casearia con il latte vaccino, anche se la tradizione vuole che a Calvene si lavori da sempre il latte di capra.
Calvene, infatti, ha rappresentato uno degli ultimi baluardi dell’allevamento caprino nel Vicentino, seppur ridimensionato dalle limitazioni poste al pascolo vagante e all’intensificazione delle colture. Le capre erano ritenute responsabili della distruzione di selve, della rovina di rovinare siepi, campi, giardini ed orti. Nell’immediato dopoguerra, l’allevamento caprino ha conosciuto una leggera ripresa per poi crollare all’inizio degli anni Settanta del Novecento con l’esodo rurale.
Brazzale Antonio dei Paoli nel volume “Dall'Astico all’Altopiano: comuni di Caltrano, Calvene, Cogollo del Cengio, Lugo di Vicenza” ricorda come l’attività agricola e silvo-pastorale è stata “per secoli l’esclusiva risorsa dei calvenesi”. Riporta che “dal censimento del 1929 risultavano 240 aziende agricole operanti su 1660 ha. Di campo e prato e ha.145 di bosco. Si allevavano 540 bovini, 60 equini, 119 suini, 5 ovini e 257 caprini”.
Anche nello studio “Lavori e valori” a cura di Confartigianato Mandamento di Thiene si sottolinea come l’economia di Calvene si basasse “fin dagli albori, su un’agricoltura povera, sul taglio del legname e su un allevamento minuto, vacche e, soprattutto, capre. Nel censimento del bestiame del 1790 queste ultime superano le duecento unità, a fronte dell’unico altro centro di allevamento delle stesse, il Tretto, dove non raggiungono il centinaio [omissis]”.
Di più, in un altro studio ““Botteghe e osterie di una volta” a cura di Confartigianato Mandamento di Thiene (Vicenza) si attesta più precisamente che nel 1790, Calvene era un paese ancora dedito all’agricoltura ed alla pastorizia: “sono in totale 1.078 gli animali censiti, 264 bovini, 48 vitelli, tre cavalli, due muli, undici somarelli e 538 pecore. Ma il dato ben più interessante è costituito dal numero delle capre, ben 212, che pone Calvene al primo posto in questa speciale classifica degli animali allevati, a conferma che la tradizione dei capretti di Calvene è molto antica”.
A Calvene, e più specificatamente a Monte e nelle frazioni limitrofe, si allevavano quindi le capre: l'usanza è attestata anche nell’Ottocento, quando in alcuni documenti si è rinvenuto il termine dantesco di “zebe”, che sta per capre.
La capra è sempre stata un animale semplice da allevare: questo ruminante dal comportamento alimentare flessibile è in grado di cambiare il suo regime alimentare adattandosi alla disponibilità alimentare in loco, utilizza quindi risorse naturali tipicamente non consumate dagli altri animali domestici (la capra è in grado di mangiare una grande varietà di piante dalle arboree alle arbustive, dalle erbe alle erbacee, anche dotate di spine), e, grazie alla sua anatomia, si adatta all’orografia montana (è in grado di alzarsi sugli arti posteriori per raggiungere piante o foglie poste ad altezza maggiore).
La capra in passato svolgeva quindi una funzione economica, in quanto produceva latte e poteva dare anche uno o due capretti all’anno e una funzione ambientale, in quanto conteneva l’avanzare di piante infestanti per le colture.
Non stupisce pertanto la sua presenza nell’area più elevata di Calvene, tra le frazioni di Malleo e di Monte, dove le contrade si fanno erte a ridosso delle selve rocciose e dove la vita quotidiana dei calvenesi assumeva tratti e consuetudini che la rendevano simile a quella dei contadini-pastori del vicino Altipiano dei Sette Comuni.
I canoni che denotavano la qualità dei caprini erano noti: la capra tipicamente di razza alpina o camosciata delle alpi si distingueva per l’alta statura e la groppa, il caprone (o bécco) doveva avere la testa elevata, la barba lunga e densa, l’orecchio pendente, il collo corto, la gamba nerboruta e il pelo fitto e molle.
Il bécco, in dialetto vicentino béco, poteva coprire tra le venti e le trenta pecore al giorno, ma era consigliato di non farlo accoppiare con più di cento pecore a stagione
A tal proposito, sempre nel già citato studio “Botteghe e osterie di una volta”, si fa riferimento ad un’antica tradizione che narra che “la Repubblica di Venezia concesse il privilegio di monta caprina agli allevatori di Calvene sin dai secoli precedenti. Ed ancora oggi è ben vivo il ricordo di alcuni personaggi mitici come il “Barba Jòani Cavrin” e il “Baba Joàni Barlan” che mettevano il “béco” a disposizione degli allevatori dei paesi vicini e della pianura, che intendevano far fecondare la loro capre. Barba Jòani Cavrin”, per l’anagrafe Giovanni Capozzo, teneva stazione di monta pubblica, sembra a seguito di un’antica autorizzazione della Serenissima”.

Prodotti De.Co. di Calvene

Il Capretto in tecia


Il capretto in tecia è una ricetta per la preparazione del capretto. Tecia è il termine dialettale veneto che sta per tegame. Questo tipo di pentola consente una cottura lenta in tegame utile a rilasciare una temperatura che non fa perdere umidità alle carni, mantenendole quindi tenere.
Il capretto alla moda calvenese ha una lunga tradizione, ma la ricetta è stata tramandata ad oggi quasi solo oralmente e con la ripetuta ritualità della gestualità delle mani delle cuoche-madri calvenesi, soprattutto della contrada di Monte di Calvene.
La ricetta originale prevede l’utilizzo del capretto da latte di 40 giorni appartenente alle razze storicamente allevate nel vicentino, con indicazione della razza alpina camosciata delle alpi.
La ricetta prevede il lavaggio accurato della carne, il suo sminuzzamento in parti, la legatura delle stesse a mano, con spago o secondo, un'insolita...

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